IL MONDO POLITICO SI DOMANDA SE DAVVERO SI APRIRA’ UNA NUOVA ERA Isra ele non perdona e sta a guardare I funerali saranno il primo test di buona fe de per i nuovi leader
venerdì 12 novembre 2004 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL funerale si avvicina, Sharon ha sentito molte previsioni catastrofiche
prima di concedere di celebrarlo a Ramallah, un luogo tanto vicino a
Gerusalemme Est: ma la linea del compromesso è quella vincente in Israele.
Da quando il Raì ss ha esalato l’ ultimo respiro, salvo poche eccezioni sia
dal governo sia dall’ opposizione si sentono parole di speranza per
l’ apertura di una nuova epoca. E giudizi ispirati al senso di opportunità ,
se si pensa che Israele deve a Arafat parecchie migliaia di morti e feriti;
e che mentre il Raì ss è identificato dai suoi con la figura di un eroe e di
un profeta, Israele lo vede come l’ uomo che ha inventato il più inaspettato
tormento per lo Stato degli ebrei che avrebbe dovuto rappresentare la quiete
dopo le persecuzioni secolari: il terrorismo. Tutte le dichiarazioni di
queste ore, le mezze parole, sono dettate dall’ opportunità politica, dalla
speranza che sia finita un’ era. Un desiderio che viene nutrito quasi in
privato, perché si ha paura di bruciare i nuovi leader, di soffocare con un
abbraccio sia Abu Mazen sia Abu Ala, che peraltro sono già oggetto
dell’ attacco della piazza palestinese più radicale che li accusa con slogan
urlati di essere pupazzi nelle mani degli israeliani.
In realtà , a Gerusalemme ancora non si capisce se ora che « è finita» , come
titola il giornale popolare Yediot Aharonoth, si sia davvero aperto un nuovo
pericolo o un’ opportunità . Certo è soltanto che Israele, da quando Arafat è
morto, fronteggia una nuova stagione: i suoi ultimi quarant’ anni, ovvero
quasi l’ intera sua vita, sono stati determinati dall’ uomo con la kefiah che
ha inventato il terrorismo suicida ma ha partecipato al processo di pace di
Oslo. Un sogno ipnotico per un Israele assetato di normalità .
« La morte di Arafat segna la fine di un’ epoca - dice Ehud Barak, l’ ex primo
ministro che a Camp David e poi a Taba offrì il massimo al Raì ss palestinese
- la sua leadership ha causato una grande tragedia a noi e al popolo
palestinese; il suo scopo non era la pace, ma il terrore e la violenza. E ha
avvelenato di odio, e questa è la cosa peggiore, la nuova generazione. Oggi
è di nuovo nelle mani dei palestinesi la possibilità di prendere in mano il
proprio destino e rinnovare il dialogo con noi» . E lui ci crede? « Solo il
prossimo futuro ce lo dirà » . La sinistra, delusa, è forse la parte più
ferita: un uomo dell’ estrema sinistra come Raanan Cohen, del Meretz, al
suggerimento che forse i pacifisti come lui dovrebbero andare al funerale
del Raì ss ci risponde: « Io sono un israeliano, un sionista: come potrei
andare al funerale di un uomo che ha ucciso tanti ebrei, tanti innocenti,
che ci ha odiato così tanto?» . Tommy Lapid, ministro laico del partito
Shinui, ammette il suo odio con crudo candore: « Certo che l’ ho odiato, e
come no, per la morte di migliaia di israeliani, per aver ridotto così il
mondo palestinese, per il tardimento di ogni patto, per le bugie dette sulla
pace, per avere attaccato al mondo intero la malattia del terrorismo, per
essere stato così corrotto... Perché dovrei mentire? E tuttavia il mio più
grande desiderio resta la tratttativa, che c’ entra?» .
Adesso due sono le questioni più rilevanti: la prima riguarda l’ esperimento
di ordine pubblico, e quindi di controllo della nuova leadership sulla
piazza, durante il funerale. Israele ha messo ai check point (i palestinesi
controlleranno Ramallah) e in giro per le strade di Gerusalemme migliaia di
poliziotti. Anche i soldati sono in preallarme. Si temono attentati, si teme
la folla dell’ ultimo venerdì di Ramadan alle moschee. L’ altro test riguarda
la politicia israeliana: Sharon ha detto ieri, salutando Gianfranco Fini,
che la mano verso la trattativa è tesa, che il punto di svolta riguarda il
riconoscimento da parte della nuova leadership della necessità di battere il
terrorismo. A quel punto verranno riprese le trattative. Quando Sharon dice
questo, lancia un messaggio specie al suo interlocutore Shimon Peres, che
vorrebbe che si riprendesse a parlare da subito. Dice Peres: « I due
personaggi centrali, Abu Ala e Abu Mazen, sono affidabili, sinceri, si sa
che ritengono che il terrore non porti da nessuna parte. Quindi è cambiata
la situazione. Conosco bene Abu Ala, siamo amici, gli ho telefonato per
esprimergli le mie condoglianze. Offrire simpatia per il dolore dei
palestinesi è un primo passo verso il dialogo» .
In termini politici, la posizione di Peres è una comunicazione a Sharon: ora
che c’ è un partner, invece di uscire unilateralmente da Gaza facciamolo dopo
aver parlato. Paradossalmente, questa posizione è condivisa dalla destra,
che vuole bloccare Sharon. Netanyahu, nel suo partito, suggerisce il
dialogo; i religosi lo suggeriscono a loro volta. Però Sharon pilota come al
solito tenendo ferma la sua bussola: funerale a Ramallah, sgombero, e
speriamo bene. Ma soprattutto, insiste: per riparlare, dite la parola
magica: guerra al terrorismo.