IL MONDO GUARDA A SHARM-EL-SHEIKH SPERANZE E TIMORI PER UN EVENTO SU CUI SI CONCENTRANO FORSE TROPPE ASPETTATIVE Israele-Palestina, oggi prove di pace E per Abu Mazen c’ è anche un invito ufficiale alla Casa Bianca
martedì 8 febbraio 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
Il vento e il sole del Medio Oriente si preparano di nuovo, con lieve
ironia, a carezzare un'altra giornata storica di Sharm-el-Sheikh, a firmare
un altro ricordo di pace. Se non si tratterà ancora di un'illusione, come
per gli ultimi, il summit del Memorandum del '99 in cui Ehud Barak, Arafat,
Hosni Mubarak e re Abdullah si incontrarono, o quello del 2000 con Bill
Clinton, Barak e Arafat quando il processo di pace era ormai agli sgoccioli.
Certo, il cuore desidera fortemente la pace, mentre la testa chiede di
restare fredda. Dopo i summit, parte del processo di Oslo, vennero i giorni
più tragici della storia del conflitto israelo-palestinese e i se e i ma di
allora non sono certo del tutto tramontati.
La giornata è comunque storica per tante ragioni: la prima è la
dichiarazione del cessate il fuoco fra due popoli che si sono combattuti
senza quartiere per più di quattro anni. Essendo stata il motore centrale
della guerra una sequenza di attacchi terroristici senza precedenti, è la
questione stessa se sia possibile porre fine al terrore a venire qui
positivamente intaccata, se non risolta. In una parola, sia che siamo di
fronte a una tregua sia che si tratti di un inizio di pace, a Sharm si vede,
nella stretta di mano fra Sharon e Abu Mazen, benedetta dai Paesi arabi
moderati, che il terrorismo non è una macchina indipendente. Può essere
fermato, combattuto sul terreno, scoraggiato da eventi mondiali,
disapprovato dalla sua stessa base e se non estirpato, fortemente
rallentato, fino a che una leadership interessata alla pace prenda il
sopravvento.
Quest'ultimo fatto si è verificato dopo la morte di Arafat, dopo
l'operazione Scudo di Difesa iniziata nell'aprile 2002 e dopo che Abu Mazen,
ancora vivo Arafat, ha avuto il coraggio di lanciare la parola d'ordine del
no al terrorismo (con contraddizioni e ripensamenti, è pur vero) ripresa poi
come centro del suo disegno di democrazia al tempo delle elezioni. Accanto a
questo, in Sharon, proprio a causa della decisione dolorosa con cui ha
condotto una guerra indispensabile, è cresciuta la determinazione ad
affrontare una grande ostilità (i suoi stessi del Likud e i
centocinquantamila settler dei territori) pur di compiere concessioni
penose.
Questa concomitanza di guerra al terrore e volontà di pace, a cui si
aggiunge il cambio di leadership palestinese che ritiene la violenza un
danno e l'aspirazione democratica utile a costruire una leadeship che, dopo
Arafat, non è più carismatica e quindi deve basarsi sul consenso di una
popolazione stanca della guerra, ci porta oggi fino alla cittadina egiziana
del Sinai, a Sharm. È proprio l'ospitalità dell'Egitto infatti, e il suo
coinvolgimento attivo e ardente nel costruire una pace basata sulla
democrazia, a farci capire che le cose si stanno muovendo non poco anche nei
Paesi che comprendono la richiesta degli Usa al Medio Oriente di ascoltare
finalmente la voce della gente di questa sfortunata zona del mondo.
Il summit è storico anche perché avviene nella temperie delle entusiaste e
speranzose votazioni in Iraq, seguite alla tanto discussa guerra contro
Saddam Hussein e poi contro il terrorismo. Non è un caso che sia gli
israeliani che i palestinesi a poche ore dall'inizio del summit abbiano
lanciato un grido di allarme sul terrorismo che potrebbe colpire sia Abu
Mazen che obiettivi israeliani: si tratterebbe, dicono gli esperti, di
terrorismo internazionale - concordano su questo sia gli uomini della
sicurezza palestinese che gli egiziani che ospitano il summit come gli
israeliani - di hezbollah provenienti dal Libano, gestiti dalla Siria e
mossi dall'Iran. Una trama ormai familiare per tutta l'area e quindi ormai
un problema strategico che certo non è assente dai colloqui fra Condoleezza
Rice e i leader israeliano e palestinese.
La Rice, discreta e determinata, è la presenza benefica, lo spirito gentile,
benché assente, al summit: gli Usa non vogliono essere troppo incombenti
perché le loro richieste a Israele di grandi concessioni, a Abu Mazen di una
grande battaglia contro il terrore, le loro promesse di denaro all'autonomia
palestinese (subito 40 milioni di dollari e poi altri trecento) e, per
converso, di tanta protezione internazionale a Israele specie via via che la
minaccia nucleare dell’ Iran diventa incombente, il peso eccessivo, le
fantasie che esercitano sulla psiche mediorentale il presidente Bush e la
sua politica, hanno suggerito l'assenza fisica. Ma prima ha invitato
entrambi i leader, sia pure separatamente, alla Casa Bianca, per conto del
presidente Bush, che con Sharon ha già consuetudine di incontri. Sarebbe
invece la prima volta del nuovo presidente palestinese, dopo che per anni
Bush ha rifiutato di accogliere in America Yasser Arafat.
A Ramallah, ieri, dopo l'incontro con Abu Mazen Condoleezza (che ha evitato
la visita alla tomba di Arafat)ha ripetuto quanto sia importante la
conferenza di Sharm, quanto forte sia l'interesse degli Usa nel futuro del
rapporto fra Israele e i palestinesi: tuttavia ha anche ricordato che è bene
non aspettarsi tanto, troppo, subito. Tutto, ha fatto capire la Rice,
accadrà , deve accadere con calma, domani. Le due parti hanno bisogno di
pazienza. E, paradossalmente, è Israele che guarda con una certa
trepidazione alle aspettative degli Usa, alle loro pressioni per veloci
progressi. Mentre i palestinesi spingono per molta presenza americana,
tanta, quanta più possibile.