IL MINISTRO DEGLI ESTERI ISRAELIANO E’ SICURO CHE LA GUERRA NON CI SARA’ « Non possiamo accantonare la pace» Ben Ami: Camp David deve restare un p unto fermo
venerdì 20 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
                
GERUSALEMME 
IL ministro degli Esteri e anche degli Interni Shlomo Ben Ami è uno 
dei due 
ideologi del processo di pace insieme a Yossi Beilin. Alla vigilia 
del 
vertice arabo del Cairo e appena tornato da Sharm el Sheik, Ben Ami, 
di 
umore estremamente animato e deciso, ci ha concesso quest'intervista 
nel suo 
ufficio di Tel Aviv. Spazia dal problema della stampa italiana 
filopalestinese, alla questione se i leader arabi suoneranno trombe 
di 
guerra dal Cairo. 
E' possibile che questo avvenga? 
« Non credo. Sono felicemente impressionato dal ruolo che il 
presidente 
egiziano Hosni Mubarak ha deciso di incarnare, sia con la sua decisa 
volontà 
di favorire, come ha fatto, l'incontro di Sharm, sia dichiarando urbi 
et 
orbi di non voler essere trascinato da nessuno in nessuna guerra» 
Un messaggio chiaro per Arafat. 
« Non ci aspettiamo certo che aiuti Israele, ma penso che sia reso ben 
conto 
nelle ultime settimane che esistono forze estremiste e violente che 
agiscono 
in Medio Oriente, e molto pericolose anche in Egitto. Quindi, al 
Cairo 
Mubarak potrebbe indurre un atteggiamento ragionevolmente bilanciato 
fra 
difesa dei diritti palestinesi e esigenza di pace» . 
Lei vede la riapertura di colloqui di pace con Arafat come partner? 
« Non decidiamo noi chi è il partner: noi dobbiamo necessariamente 
avere a 
che fare con i palestinesi, il cui leader è Arafat. Se Arafat poi 
deciderà 
di parlare secondo i principi di convivenza minima stabiliti a Sharm, 
o se 
invece decide di seguire la filosofia degli hezbollah, da questo 
deriva la 
possibilità o meno di continuare a parlare» 
E' mai possibile che riprendiate a discutere da dove tutto si è 
interrotto, 
a Camp David? 
« Camp David non può essere messa da parte. E' un punto fermo nella 
memoria. 
Ci ha fatto piacere che a Biarritz la Comunità Europea l'abbia 
definita una 
possibile piattaforma di pace. Quanto alle possibilità di riprendere 
il 
cammino della pace, le prossime ore lo diranno. Per noi la pace è una 
scelta 
indispensabile, solo che sia possibile» . 
Qual è il suo commento sulla vicenda che ha coinvolto la stampa 
italiana? 
« Prima di tutto vorrei chiedere a lei: che vi succede ,giornalisti? 
Dopo "IL 
tradimento degli intellettuali" bisogna scrivere "Il tradimento dei 
giornalisti» ? 
Più in dettaglio? 
« Credo che i giornalisti europei e quindi anche quelli italiani 
vivano 
dentro uno schema culturale postromantico, in cui quella che era la 
giovane 
generazione che andava all'Università con la kefia si raffigura 
eroicamente 
a fianco di un popolo oppresso. Il giornalista europeo guarda 
Ramallah, e 
vede soltanto una manifestazione. Non si addentra nella sua 
complessità , nel 
fatto che la si mescolano ordini e controdini di Arafat, la polizia, 
i 
tanzim ,la gente. Non vede i fucili, le bombe molotov, lascia perdere 
se 
mandano i bambini avanti, anzi, la cosa talora appare persino eroica. 
Vede 
una folla e se la figura come quella delle manifestazioni 
antiglobalizzazione, e si dimentica che dietro c'è un mondo ostile , 
l'Iraq 
di Saddam Hussein, l'Iran islamista che manda le armi agli Hezbollah, 
i 
rapimenti, il terrorismo, l'accerchiamento del mondo arabo, la 
continua 
diffamazione a cui siamo sottoposti… » 
Ma i palestinesi, con le loro richieste territoriali, non sono là 
anch'essi? 
« Certo, e con queste aspirazioni noi abbiamo lungamente discusso 
razionalmente, arrivando a grandi rinunce territoriali e concettuali» 
Ne abbiamo scritto. 
« Ma il giornalista preferisce non vedere, quando il popolo è 
infuriato, la 
sua frustrazione per come è stato gestito il processo di pace non da 
noi, ma 
dentro l'Autonomia che ormai comprende il 98 per cento dei 
palestinesi. 
Preferisce pensare che tutta la sua rabbia deriva dagli israeliani, 
anche se 
sa, e magari ha anche scritto, della corruzione della leadership, del 
fatto 
che i miliardi donati dal mondo non sono stati utilizzati a suo 
vantaggio. 
La gente non ha visto la pace come una soluzione per sé , ma solo per 
la 
leadership. Ho sentito un palestinese dire: "Questa pace è per quelli 
che 
hanno la pancia piena" Ma il giornalista preferisce vedere il bello 
della 
rivolta sostenendo Arafat, piuttosto che raccontare gli effetti sulla 
pace 
di una dittatura corrotta» 
E perché alla fine, farebbe questo? 
« Perché Israele, se si dimostra cattivo, lava il senso di colpa 
dell'Europa 
verso gli ebrei; e intanto il giornalista si riabilita anche verso il 
Terzo 
Mondo a suo tempo colonizzato dagli europei stessi» . 
            