IL MINISTRO DEGLI ESTERI CHIEDE PIU’ UNITA’ NELL’ AFFRONTARE L’ ATTACCO ALLE DEMOCRAZIE TERRORISMO Frattini: Europa e Usa uniti contro chi colpis ce gli innocenti
domenica 16 novembre 2003 La Stampa 0 commenti
VENEZIA
IL Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini appena sbarcato
dalla sua
visita negli Stati Uniti insieme al Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi, ha continuato per alcune ore a restare immerso in
un'atmosfera di dialogo intensamente interatlantico: a Venezia
infatti, dove
lo abbiamo incontrate nella sale affrescate dal Tiepolo in Palazzo
Labia, è
arrivato direttamente per intervenire ai Colloqui della Fondazione
Liberal
di Ferdinando Adornato: qui, in stile neoconservatore, John Bolton,
Sergio
Romano, Michael Leeden, Bill Kristol, Khaled Fuad Allam, Michael
Novak,
André Glucksmann e tanti altri intellettuali e politici per due
giorni hanno
appunto discusso l'alleanza Europa-Stati Uniti e la questione della
democrazia in Medio Oriente. Il tema ossessivo, onnipresente, è
sempre il
terrorismo.
Tanto più che ora pesano sull'incontro sia il lutto causato dalla
strage dei
nostri carabinieri e militari a Nassiriya, sia le notizie della
tragedia
delle due sinagoghe di Istanbul.
Signor ministro, come si sente lei, come si sente l'Italia dopo
essere
diventata in prima persona oggetto del terrorismo internazionale?
L'attacco
alle sinagoghe fa parte della stessa tragedia storica?
« Nel nostro caso, come in tanti altri: quello di Sergio Vieira de
Mello,
della Croce Rossa, delle sinagoghe, si capisce senza possibilità di
dubbio
come il terrorismo non faccia nessuna distinzione nei suoi obiettivi,
come
vengano colpiti, anzi, soprattutto, uomini di pace, che cercano di
dare, con
la loro opera, con la loro fede, un messaggio positivo per il futuro.
I
nostri ragazzi erano eroi della pace, dalle cui storie personali
escono
mille episodi di amore per la gente, per il loro benessere, la loro
salute,
la loro educazione. Questo li ha resi persino più invisi al terrore.
Questo
è il terrorismo, che odia il benessere e la democrazia, e contro cui
oggi
più che mai c'è bisogno di unità fra Europa e Stati Uniti, fra Stati
europei, fra cittadini di uno stesso Paese. Gli eroi della pace sono
stati
colpiti, siamo oggi come le vittime delle Twin Towers, o come tutte
le altre
vittime innocenti dei terroristi» .
Signor ministro, in realtà la tanto invocata unità interna sta già
svanendo
all'orizzonte. Le critiche alla guerra sono tornate a essere molto
dure, in
Parlamento e negli editoriali si sentono di nuovo chiamare
« resistenti» i
terroristi.
« In realtà non riesco a capire come questo possa accadere: la
politica
interna non dovrebbe mai indurre a usare le parole a caso. Noi
italiani
sappiamo cos'è la Resistenza, i nostri genitori l'hanno combattuta
contro il
nazifascismo insieme agli alleati angloamericani. Qui, chi mai sono i
resistenti? Quelli che hanno ucciso de Mello? Quelli che attaccano la
Croce
Rossa, o i nostri ragazzi, che si adoperavano solo per portare la
pace? Non
scherziamo con le parole, non tradiamone il significato storico» .
Tuttavia le critiche sono ideologiche e pratiche, e molto ampie: sono
critiche alla guerra americana come guerra sostanzialmente aggressiva
e
imperialista, e anche, non di meno, come guerra perdente. Lei che
atmosfera
ha trovato alla Casa Bianca? C'è un senso di perplessità , di
sconfitta?
« Sinceramente, tutto il contrario: Bush emana una grande
determinazione a
non indietreggiare, e anche un grande senso di solidarietà , di
inusitato
calore verso l'Italia. Questo terribile dramma che ci ha colpito ci
avvicina
ancora di più : mi è parso che fosse molto colpito dalle nostre
perdite, che
abbia capito a pieno che per noi è la peggiore tragedia dopo la
seconda
guerra mondiale; ha ricordato nel suo discorso pubblico i nostri
morti,
mentre non ha parlato dei suoi soldati periti nella tragedia
dell'elicottero, né di altri caduti.. Bush è deciso a non farsi
intimidire,
a sconfiggere il terrorismo, ed è estremamente importante che
connetta
questa battaglia alla questione della democrazia, della libertà dei
popoli» .
Però è proprio qui che si svolge il dibattito europeo: sull'idea
della
democratizzazione del Medio Oriente. Molti la vedono come un'utopia,
altri
come una scusa, altri ancora come un intervento improprio
nell'autodeterminazione dei popoli.
« Qui torniamo alla falsa sensazione del fallimento in Iraq: chi
guardasse
nelle storie non solo delle vittime, ma anche dei commilitoni dei
nostri
ragazzi, troverà mille episodi che si sono svolti in una società dove
comincia a esserci libertà di movimento, di commercio, di lettura.
Oggi in
Iraq si può comprare, andare all'ospedale, insegnare, leggere. Ci
sono già
molti segni di democratizzazione, pur nella tragedia del terrorismo
che non
cessa. Ci sono duecento giornali locali in Iraq, le autonomie sono in
piedi,
le strutture maggiori, l’ elettricità , l’ acqua, sono in funzione. E in
Afghanistan certo la vita torna a essere composita, pluralista, si
vota, le
donne votano, sia pure in mezzo a tante difficoltà . La democrazia non
si
costruisce in un giorno» .
Specie quando mancano i fondi per farlo. O quando la gente del luogo
ha
ancora mille difficoltà per accedere alle leve del potere.
« Vero, ma anche qui le cose stanno muovendosi: la risoluzione 1511
del
Consiglio di Sicurezza dell’ Onu è ancora recente, e aiuterà molto a
favorire
il passaggio delle consegne pur riconoscendo l'utilità della presenza
internazionale al di là delle divisioni politiche che hanno
accompagnato
l'intervento» .
Si tratta per lei di quel « cambiamento» che le opposizioni italiane
invocano?
« Cambiamento è solo una parola spesso invocata senza volersi rendere
conto
delle difficoltà che qualsiasi mossa comporta. Se tradotta in azione
di
governo, comporta per il Consiglio dell'Iraq una enorme
responsabilità : il
ripristino della vita normale, dominata da leggi e istituzioni per la
complessa comunità irachena, che pure ha una lunga storia che
testimonia una
capacità di convivenza. E’ comunque una grande acquisizione che,
questa sì ,
faciliterà un reale cambiamento, che piano piano ci si avvii allo
sblocco,
da parte della Banca Mondiale, dei fondi destinati alla
ricostruzione, che
fin'ora non avevano un referente: il finanziamento non poteva essere
messo a
disposizione senza chi firmasse le obbligazioni. Adesso, presto,
questo
denaro potrà essere consegnato agli iracheni stessi e questo sarà un
ottimo
risvolto pratico delle risoluzioni politiche positive prese dall'Onu.
Il
problema, chiunque lo può facilmente capire, non è se consegnare le
chiavi
ai padroni di casa: è come consegnarle senza lasciarli preda del
terrorismo.
Il primo comandamento è non abbandonarli» .
Ma il terrorismo è in aumento, così sembra, giorno dopo giorno,
nonostante
gli sforzi internazionali. Anche Bush ha parlato delle necessità di
un
cambio di strategia.
« Infatti, e questo anzi richiama la necessità del lavoro sul campo
degli
iracheni stessi: l'intelligence con una forte presenza sul territorio
può
aiutare moltissimo» .
Lei ha la sensazione che l'Italia sia sempre più implicata in questa
vicenda, nonostante o forse a causa delle nostre perdite?
« L'Italia resta fedele alla sua tradizione, per cui non è scesa in
guerra ma
è intervenuta, appena ha potuto, in una missione di pace e di aiuto
della
popolazione. In questo noi siamo in prima fila e non ci faremo
intimorire da
nessuno; saremo parte della lotta per la democrazia in Medio Oriente.
Ci
sono tanti esempi che ci incoraggiano, il Marocco, la Giordania,
tanti Paesi
musulmani che ci invitano a seguitare a distinguere fra interessi
dell'Islam
e interessi del mondo musulmano estremo: sono due cose enormemente
diverse» .