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Il Likud balza in testa ai sondaggi

giovedì 29 febbraio 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Ansia. È questo il sentimento che promana, in una fredda mattina gerusalemitana, a quattro giorni dall'attentato dell'autobus numero 18, da Benjamin Netanyahu, il capo del Likud, quando incontra i giornalisti di tutto il mondo che vogliono sapere come l'opposizione israeliana condurrà la sua campagna elettorale. È giovane, pieno di vitalità Netanyahu, ha vent'anni meno del suo antagonista Shimon Peres; il suo inglese e il suo portamento di fronte ai media sono sciolti, audaci. Il suo albero genealogico di sabra è quello di un intellettuale, autore di molti libri, con un fratello eroe, caduto a Entebbe, nel famoso salvataggio degli ostaggi dai terroristi. E quel che conta per lui oggi, le ultime indagini-campione lo danno in crescita: dopo l'attentato di domenica scorsa, Netanyahu ha recuperato molti punti rispetto ai 16 di stacco che Peres gli dava con questi ultimi mesi di ottima gestione del processo di pace, col terrorismo silente e l'economia in crescita. Martedì sera alla trasmissione tv (Referendum) un sondaggio fatto un po' in casa, ma non per questo meno rassicurante per Bibi (così lo chiamano tutti) ha detto che il Likud conta il 51% dei consensi e i laboristi solo il 45. Ma mancano ancora tre mesi alle elezioni, e se i terroristi di Hamas non allarmeranno troppo l'opinione pubblica fino a fare la campagna elettorale per Bibi, la pace può riconquistare tutto il suo appeal. Netanyahu infatti, per vincere, ieri non ha detto affatto quello che si suppone pensi il capo della fazione di opposizione: non ci fidiamo degli arabi, restiamo armati e ad occhi aperti. Al contrario: più volte ha ripetuto chiaro e forte: seguiterà a mandare avanti una politica di pace, ma in un clima di maggiore sicurezza, con più forza e più convinzione dei nostri diritti. Ovvero: Netanyahu si propone come uomo di pace, e insieme come un duro nelle trattative e nella sicurezza. Accetta la pace in via di principio, ma non nelle sue implicazioni pratiche. Per esempio Bibi ieri ha assicurato che i negoziati con Arafat continueranno, ma lui non lo vuole incontrare personalmente: parlare fra politici. Si dice favorevole ad affrontare secondo il trattato di Oslo le discussioni sull'assetto definitivo dell'area: dice che lui sa quanto e come si potrebbero aumentare le misure di sicurezza. E per prima cosa, e questa forse è la parte forte della sua presa di posizione, vorrebbe oggi ritardare l'evacuazione da Hebron, da dove sono venuti gli ultimi terroristi, e che, come dice, è . Un'eventualità alla quale martedì aveva accennato anche Shimon Peres chiedendo ad Arafat di reprimere il terrorismo. Arafat ha risposto intimando agli attivisti palestinesi di consegnare entro sabato le armi detenute illegalmente alle autorità palestinesi. Fiamma Nirenstein

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