IL LEADER PALESTINESE DEVE DIMOSTRARE DI SAPER AFFRONTARE I GRUPPI PI U’ ESTREMISTI Terrorismo, il difficile fronte interno di Abu Mazen
sabato 26 febbraio 2005 La Stampa 0 commenti
DUNQUE il mostro non è morto, il terrorismo cerca di ghermire la fragile
pace avviata, distrugge le promesse di cessare dalla violenza che Abu Mazen
e Ariel Sharon si sono scambiati a Sharm el Sheik. In Israele nelle ultime
due settimane erano stati individuati e fermati una decina di attentatori
terroristi, era chiaro che la tregua non era affatto stata accettata da
tutti, che anzi era vista come la vittoria della linea di democratizzazione
e pacificazione del Medio Oriente che in tanti odiano, e anche che Abu Mazen
non poteva fornire una protezione ermetica dal terrore. E per quanto non
sorprendente, tuttavia l’ attentato è caduto tanto più doloroso sulla folla
giovanile del venerdì sera che passeggia, chiacchiera e ride, entra a
gruppetti nei pub o nei locali notturni come « Stage» .
L’ illusione era enorme, quanto può esserlo quando nasce dal semplice,
indispensabile desiderio di vivere. Ifat, una delle ragazze che lavorano
nella cucina dello « Stage» , quando ha sentito la fortissima esplosione
(dieci chili circa di tritolo) non poteva credere, racconta, che tutto fosse
ricominciato da capo, come al tempo della grande strage di ragazzini in coda
al locale « Dolphinarium» , 23 morti nel 2001, e poi di nuovo, sempre a poche
centinaia di metri al « Mike Place» nel 2003.
Nelle ore notturne nel campo israeliano e in quello palestinese, e anche nel
mondo arabo che in queste settimane si è impegnato a favorire la nuova fase
di colloqui, il nuovo drammatico scenario che si è presentato riguarda due
punti fondamentali: l’ identificazione dei responsabili e la reazione da
adottare. Il terrorista di Tel Aviv che di nuovo ha riempito di lutto
disperato e di sangue innocente le strade di Israele, ha fatto esplodere
anche il processo di pace? La risposta per ora è un cauto « no» . Tutte le
parti sanno che al di là delle rivendicazioni della Jihad Islamica e delle
Brigate di Al Aqsa e le successive smentite (« Non c’ entriamo niente» , hanno
fatto sapere dopo le prime rivendicazioni, mentre l’ Autorità condannava per
bocca di Saeb Erakat) esiste una costellazione di bande che collaborano per
portare i loro eccidi a compimento con tutte le complicazioni che questo
comporta (attentatore, esplosivo, trasporto fino al luogo dell’ attentato con
mezzi di trasporto in generale israeliani); oltre a questo, viene da parte
palestinese il suggerimento, per ora non precisato, che l’ attentato possa
essere stato preparato e eseguito con il sostegno di « elementi non
palestinesi» , il che significa, probabilmente, con l’ intervento degli
hezbollah.
L’ organizzazione libanese sciita da tempo fornisce denaro e uomini allo
sforzo di distruggere il processo di pace, e in generale svariati gruppi
terroristi mediorientali vogliono fermare la spinta alla democratizzazione e
all’ incontro con l’ Occidente che ha nella vicende israelo-palestinese, oltre
che in Iraq, uno dei suoi punti centrali.
Sul che fare, Sharon e il suo gabinetto vivono il consueto dilemma: nella
fattispecie, al momento si può prevedere che la reazione può essere quella
di un rallentamento delle operazioni di sgombero dalle cinque città
palestinesi presidiate dall’ esercito. Tulkarem, la città da cui, dopo un
primo sospetto sulla città di Shkem, si pensa che sia uscito il terrorista
suicida, era proprio fra le prime che avrebbe dovuto essere sgomberata. In
generale, tuttavia, Sharon conterrà la guerra al terrorismo in termini più
sfumati, ma certamente si rivolgerà a Abu Mazen (che durante la notte ha
riunito il nuovo governo in una riunione d’ emergenza) per chiedergli un
impegno contro il terrorismo ben visibile e pragmatico: l’ individuazione dei
colpevoli, il loro arresto, un processo. Insomma, un atteggiamento verso il
terrorismo che sia più chiaro, meno blando dell’ « embrassons nous» che la
nuova gestione dell’ Autorità Palestinese ha offerto a tutti i gruppi,
nessuno escluso.
Adesso che l’ illusione di una tregua onnicomprensiva sembra svanire, di
sicuro anche Abu Mazen si interroga su quanto sia utile ai propri progetti
la scelta di inglobare tutti quanti con la promessa per le fazioni di
reintegrazione nella vita civile fuori dalle prigioni israeliane o dalla
clandestinità . Anche Abu Mazen probabilmente proprio nelle ore in cui vara
il suo nuovo governo e dopo che il suo popolo lo ha acclamato per la
liberazione di tanti prigionieri, deve affrontare l’ idea che esiste una
irriducibilità , una scelta politica e ideologica che non può che essere
spezzata se si vuole salvare la pace. E’ ragionevole pensare che Sharon,
premuto dalla sua base dopo le ultime concessioni sui prigionieri e la
promessa di sgomberare le città e soprattutto la votazione sugli
insediamenti di Gaza e di parte della Cisgiordania, sia ora in grande
difficoltà .
Adesso, per ristabilire una situazione in cui il programma sia possibile e
perché Abu Mazen, a sua volta in continuo pericolo a causa dell’ odio dei
suoi estremisti, resista, occorrono scelte molto pragmatiche. Il terrorismo
rischia di spaccare tutto; perché la pace avanzi, guai a lasciarlo
proliferare, e guai anche dimenticare, per ambedue le parti, la promessa di
mantenere la pace. Abu Mazen, adesso, di fronte al terribile dolore di
Israele, non può che dimostrare, per conservarne la fiducia, che vuole
combattere il terrorismo, e non a parole.