IL LEADER GESTIVA MILIONI DI DOLLARI E’ il tesoro del Raiss la chiav e del futuro
sabato 30 ottobre 2004 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ARAFAT se ne è andato. Non si sa per quando. Non si sa se abbandonerà del
tutto il potere. Un ordinato passaggio delle consegne è lo sforzo più grande
per un mondo in continua confusione, in guerra, percorso da filoni sia di
terrorismo che di corruzione e da gruppi in lotta gli uni con gli altri, in
cui l’ opinione pubblica si è enormemente estremizzata e la morte è di casa.
Fino a poche ore fa Nabil Abu Rudeina, il portavoce di Arafat, seguitava a
dire che tutto andava bene, che il Raiss tornerà ben presto, che tutto resta
come prima e che non si cambia niente, per ora. Secondo indiscrezioni il
Raiss ha rifiutato di firmare un documento che prevedeva il passaggio dei
poteri. Ma il Consiglio legislativo palestinese sta per riunirsi (si
annuncia con quell’ incertezza che è tuttavia tipica di situazioni come
questa) con i suoi 88 membri per vedere se cambiando la Costituzione (la
Basic Law) Abu Mazen potrà ricevere in quanto segretario generale del
Consiglio esecutivo dell’ Olp, il ruolo più importante dopo quello di Arafat,
un ruolo di potere ad interim, fino alle prossime elezioni che dovrebbero
svolgersi fra due mesi. Con lui dovrebbero sedere in troika, secondo una
formula ancora da definire, l’ attuale primo ministro Abu Ala, e i due
cinquantenni che rappresentano la generazione della prima Intifada, quella
delle radici popolari e dei tanzim: Jibril Rajoub e Muhammed Dahlan l’ uomo
forte di Fatah a Gaza, ex nemico di Arafat che a sorpresa era al suo fianco
ad Amman. Due personaggi che non si amano, ma il fato sta in queste ore
rimescolando il destino del popolo palestinese, probabilmente quello
dell’ intero conflitto mediorentale e con esso i grandi scenari dello scontro
con il terrorismo. Niente è scritto, per ora è ancora il tempo del rumore,
della confusione, dello sbattere delle pale degli elicotteri, che dal tempo
del fallito processo di pace hanno segnato il tempo di Arafat.
Gli elicotteri, come aquile d’ acciaio, sembrano portare sulle ali il destino
del popolo palestinese. Folle estatiche, nel periodo fra il luglio ‘ 94 e il
dicembre ‘ 95 accolsero il rombo che dal cielo annunciava in varie città
palestinesi appena sgomberate il ritorno da Tunisi di un Arafat trionfante,
che scendeva dal cielo a liberare i suoi, sempre con la mano levata nel
segno della V. Noi, i cronisti, ci perdevamo dentro folle incredule che
vedevano tornare a casa il loro capo Arafat, reduce dalla firma dell’ accordo
di Oslo, prossimo premio Nobel per la pace. L’ esercito uscì una ad una da
tutte le città palestinesi. Con la limousine a Gaza Arafat entrò
dall'Egitto, e altrove, quasi ovunque, con gli elicotteri scendeva a portare
la promessa di un futuro migliore e di uno Stato palestinese. Sembra adesso
un altro mondo, quello umido, grigio, spaventato della Ramallah di dieci
anni dopo da cui, ieri mattina, si è alzato il volo Arafat malato, per Amman
e poi per Parigi. Al tempo della pace mentre gli scout cercavano di tenere
il ritmo col rullo dei tamburi e i vecchi fellah danzavano col bastone in
mano e la kefia che si arrotolava fra i piedi la cronista fu quasi sollevata
dalla folla impazzita d’ amore per il suo Raiss. All’ alba di ieri di nuovo
una piccola folla intorno alla Mukata alza il naso in alto mentre il Raiss
col cappello di pelliccia calcato fino sulla faccia arrossata e assente
salutava di nuovo con la V; la gente gli gridava la redenzione di
Gerusalemme « con l’ anima e col sangue» , con il solito grido di guerra.
Invece di pace infatti poco dopo inaugurò la terribile guerra del rifiuto e
del terrore, e le città sono tornate nel tempo in mano a Israele nella
guerra che si è accessa riportando fame e morte.
Adesso da questo vuoto potrrebbe nascere una situazione aperta alla
speranza, oppure la notte del caos. Nei shuk di Ramallah e di Gerusalemme
Est i commercianti e le donne parlando del Raiss dicono: « E’ l’ uomo che ha
reso grande la nostra lotta, è il nostro mito e il nostro eroe, speriamo si
rimetta e torni subito» . Ma altri sia nella Cisgiordania che a Gerusalemme
si sentono abbandonati e furiosi: « Perché Arafat ha lasciato che lo
portassero a Parigi per curarlo? Perché non ha almeno scelto Amman o il
Cairo, più vicini? E’ un distacco definitivo? E che ne sarà di noi? Adesso
che cosa accadrà ? Chi gestirà l'Autonomia palestinese? E il Fatah? E
l’ Olp?» . Sono in ballo mille questioni concrete e cogenti, come la montagna
di denaro che Arafat ha gestito sotto vari titoli, per esempio gli stipendi
di più di 25mila uomini della polizia e della sicurezza, divise ancora in
cinque corpi tutti controllati centralmente; per esempio i soldi della
Fondazione che fa capo al Raiss e che è amministrata dal suo consigliere
economico Muhammed Rashid con un budget di un miliardo di dollari. La
gestione del Raiss, come si vede dai documenti ritrovati dall’ esercito
israeliano durante l’ operazione « muro di difesa» dell’ anno scorso, è sempre
stata minuziosa, gli stipendi e gli incarichi speciali anche legati al
terrore o all’ assistenza di famiglie e persone, sono sempre stati
direttamente gestiti da lui, con depennamenti e sconti cui non era possibile
dire di no. Anche le grandi somme incamerate dagli aiuti internazionali non
sono mai sfuggite alla gestione diretta e oculata di Arafat. Tutto questo è
solo una piccola parte del problema. L’ impostazione complessiva della
sicurezza ad esempio è ancora una patata bollente. Se Abu mazen e gli altri
ce la fanno a uscire da queste pastoie, potrebbe davvero aprirsi una nuova
pagina, e la Road Map che prevede un cambio di leadership potrebbe essere
realizzata. C’ è da fare i conti con una folla che in parte chiede
tranquillità e in parte vendetta. Una leadership che cedesse alla pulsione
di una popolarità al basso costo dell’ odio, potrebbe diventare, poiché
debole, ancora più pericolosa.