IL KIPPUR, UN BISOGNO DI TUTTI25 ORE DI SILENZIO
martedì 21 settembre 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
FORSE tutti quanti nel mondo, ciascuno a modo suo, desiderano un
giorno
come quello di ieri, Yom Kippur. Un amico suggerisce: « Vi invidio
queste 25
ore silenzio» .
Gerusalemme si trasforma di colpo in una agostiniana Città Celeste.
Niente
più rumori, nè automobili; né aerei; né telefono; né radio; né
televisione;
né caffè ; né ristoranti; né merci; né affari. Non si mangia, non si
beve,
non si fuma per 25 ore, fino a quando nel buio non si possono
scorgere tre
stelle. Il cielo di Kippur è rimasto tutto il tempo d’ azzurro
settembrino.
La sera avanti, alle 5 circa, ha suonato la sirena. Grida uno strano
ordine,
una specie di annuale allarme divino, in un Paese in cui allo stesso
suono
la gente in genere, nella sua storia, correva a prendere l’ elmetto e
l’ Uzi.
Da quel momento non si fa nulla, che non sia restare in compagnia di
se
stessi, della propria vita e della propria morte.
L’ aeroporto è chiuso, il cielo a cui siamo avvezzi non è più tanto a
portata
di mano. Altri cieli, ormai la maggior parte degli uomini non li
conosce:
non resta quindi che concentrarsi sui propri pensieri, a volte
piangere. Ma
anche ridere dei ricordi.
Molti si avventurano a piedi dove a piedi non vanno mai. C’ è chi
poggia
orecchio non alla lettera, ma alla parabola: « Tutti i voti, o
impegni, o
consacrazioni, o scomuniche, o giuramenti, o obbligazioni che
pronunciammo
nel giorno del Kippur trascorso fino a questo giorno... noi
ritrattiamo di
fronte al Padre Celeste...» . Ovvero: voglio fare pulizia,
ricominciare da
capo. Da qui seguono una quantità di atti di contrizione, che i
cantanti e
gli scrittori ebrei newyorchesi, i negozianti e gli intellettuali
italiani o
francesi, i pittori e i cineasti, gli armatori inglesi, gli attori e
i
commercianti, la povera gente della Russia, i venditori di semi
arrostiti, i
tappezzieri del Maghreb e dell’ Iran, insomma tutti gli ebrei del
mondo ormai
almeno per la metà miscredenti, volgono in qualche isola di silenzio.
Tuttavia la strada per Gerico che scende curvando in mezzo al deserto
della
Giudea, conta svariati veicoli di israeliani che vanno a giocare al
casinò
nell’ Autonomia palestinese; Jael Dayan, la parlamentare femminista
figlia di
Moshe, fece grande scandalo quando una volta la fotografarono in
bikini a
prendere il sole sulla miscredente spiaggia di Tel Aviv, un uso poi
divenuto
tipico fino ad ora di tutti i giovani scafati; domenica, fino a pochi
minuti
prima della sirena, molti ragazzi, anche a Gerusalemme, stavano in
coda di
fronte alle macchinette che distribuiscono video per prepararsi a una
regolare vacanza, cibo e bevande compresi. Pochissimi sono gli ebrei
che non
celebrino il giorno di digiuno ed espiazione. Di un ebreo ormai quasi
uscito
dalla sua comunità , e rimasto legato ad essa solo con un filo, si
dice: è un
ebreo di Kippur. Quel filo è il meno tangibile, ma il più spirituale.
E
proprio per la vasta secolarizzazione ebraica, Kippur risulta alla
fine una
strana prova universale del bisogno di spiritualità di tutti gli
uomini.
Come mangiare, bere o al posto di mangiare e di bere, l’ uomo, con Dio
o
senza Dio, desidera anche il silenzio.