IL GRANDE SCRITTORE RUSSO E IL PIÙ AUTOREVOLE STUDIOSO OCCIDENTALE DE L MEDIO ORIENTE: DUE VISIONI OPPOSTE SULLO SCONTRO DI CIVILTÀ CHE AGITA IL XX I SECOLO Bernard Lewis: ma l’ America è un baluardo contro l’ Islam
mercoledì 10 maggio 2006 La Stampa 0 commenti
FU a Bologna, a una lettura del Mulino nel 1991, che incontrai per la prima
volta il professor Bernard Lewis, che compie in questi giorni 90 anni e che
il 1° maggio abbiamo festeggiato, con tanti amici, a Philadelphia. Mi
lasciò , allora, stupefatta e conquistata lo scenario mediorientale che
sciorinò con ordine impeccabile trascendendone la polverosa complessità . Il
tema era « La crisi del Medio Oriente in prospettiva storica» : tutt’ a un
tratto vidi nella storia del mondo islamico la nostra immagine rovesciata, i
guai e i trionfi dell’ Occidente come in uno specchio, la storia della
vittoria della democrazia riflessa in quella della sconfitta di un mondo
abituato per secoli a primeggiare; fumava nel suo british english
l’ esplosiva carica di futuro che avrebbe da lì a qualche anno travolto il
mondo. L’ Islam tornava, come aveva già scritto in un articolo preveggente
nel 1976. L’ Islam si infuriava, come scrisse nel 1990 in The roots of muslim
rage (tradotto da Mondandori, La crisi dell'Islam. Le radici dell'odio verso
l'Occidente), quando ancora quel tema era impensabile.
È passato tanto tempo dalla lettura di Bologna: allora Bernard Lewis era un
guru accademico, ma oggi è anche l’ uomo che con i suoi studi, con i suoi
pareri portati a Washington da Princeton (nato a Notting Hill, si è
trasferito in America nel 1974) è diventato un caposcuola del pensiero
politico americano, la guida intellettuale in un frangente storico
drammatico come quello dell’ 11 settembre, l’ esperto per eccellenza
consultato senza differenze politiche da chi vuole capire qualcosa della
situazione. L’ hanno spesso chiamato nei momenti difficili Bush, Cheney,
Condoleezza Rice, ma anche una serie di leader musulmani giordani, egiziani,
turchi, degli Emirati. Perché il pensiero di Bernard è spietato con l’ Islam
quanto profondamente intrinseco a quella cultura, all’ intreccio fra la sua
storia e la nostra.
La conferenza di celebrazione, sul tema « Islam e Occidente» , è stata come
una grande rappresentazione del senso del lavoro di Bernard Lewis: ancora
una volta loro e noi, un destino intrecciato che dall’ VIII secolo muove la
storia del mondo e che, per il professore, ha al centro il tema della
democrazia come chiave di uscita dal conflitto. Al grande simposio
organizzato dal World Affairs Council di Philadelphia, sempre senza un
appunto scritto, sempre nascondendo dietro l’ angolo della frase oggettiva e
secca un sorriso, oppure (o insieme) una conclusione dirimente, una sentenza
tragica, Bernard Lewis ha fornito al pubblico un discorso dinamico e
pessimista, in cui l’ Europa riveste il ruolo di un fantasma destinato a
svanire, gli Usa rappresentano con pochi altri Paesi il baluardo nei
confronti dei protagonisti della rivincita islamica, l’ Iran è un pericolo
mondiale da prendersi molto, molto sul serio, e anche Bin Laden.
Lewis ha dipinto l’ Islam come un mondo di fronte al quale siamo disarmati e
indecisi, che se ci vede deboli ci seppellirà . Erano là a misurarsi con lui
personaggi di fama mondiale. C’ erano il vicepresidente degli Stati Uniti
Dick Cheney, Henry Kissinger, Francis Fukuyama, il grande storico
libanese-americano Fouad Ajami e tanti altri fra cui molti studiosi e
politici arabi. L’ evento è stato costruito dalla presidente della Fondazione
Buntzie Churchill che è anche la compagna di vita di Bernard Lewis: « Nella
mia situazione di presidente e insieme di lady del professore, è stato molto
più facile costruire una conferenza che fare una torta» , ride.
Perché Cheney ha sentito il dovere di venire a parlare di Bernard Lewis al
suo compleanno? Perché Henry Kissinger ha scelto questo palcoscenico per
dichiarare, lui, il re dei realisti: « Non accetto la divisione fra realisti
e idealisti, si può essere ambedue le cose» ? Aggiungendo: « Qualcosa deve
essere fatto per fermare l’ Iran» .
La risposta sta nel fatto che essi vedono in lui una pietra angolare nelle
acque tempestose di questi anni, uno studioso che non si sottrae al dovere
interpretativo: Lewis ha fornito la chiave per capire quello che ci sta
capitando, e ha preso le sue responsabilità nel dire che la
democratizzazione è la chiave per fermare l’ islamismo terrorista. Prima di
tutto ha esaminato il conflitto attuale senza cadere nell’ idea che la furia
islamista sia legata alle colpe dell’ Occidente: lui vede la rabbia islamica
come risultato della sconfitta dell’ Islam che venne dopo un millennio di
predominio militare, culturale e economico. Vede un mondo frustrato e
furioso, e deciso a riconquistare il predominio. C’ è rispetto in questa
analisi, e c’ è rispetto nel pensare che anche i musulmani, come tutti gli
uomini di buona volontà , godranno della democrazia.
Lewis seguendo il suo filo ha visto giusto molto prima di tutti:
l’ espressione « scontro di civiltà » è sua, come gli riconosce doverosamente
Huntington. È stato Lewis col suo stupefacente saggio del 1990 a
identificare le forze in campo. È stato lui a scoprire che un saudita in
esilio di nome Bin Laden, nel 1998, già dichiarava senz’ altro guerra ai
crociati e agli ebrei e prometteva di riconquistare innanzitutto la Penisola
arabica. E molto prima, negli Anni 70, sempre lui, che sa il persiano (parla
tutte le lingue mediorientali, più una mezza dozzina di lingue occidentali),
leggendo un libro dell’ ajatollah Khomeini in esilio a Parigi, ne
identificava le vere intenzioni mentre tutto il mondo parlava di una
rivoluzione che appariva erroneamente come una lotta di poveri contro lo
sfruttamento dello shah Reza Pahlavi sostenuto dagli americani.
Dopo l’ 11 settembre Bernard Lewis è stato spesso prelevato per consultazioni
da elicotteri e macchine scure dirette a Washington, e là ha portato sempre
il medesimo messaggio, che è anche la sua ossessione e la sua speranza:
democrazia. Democrazia che se non si prende a gocce, come una medicina, può
uccidere il paziente, ha più volte ripetuto; in realtà , il professore pensa
che elezioni libere dovrebbero esser il culmine e non l’ inizio di un
indispensabile processo di democratizzazione, ma è convinto che il mondo
islamico, abituato a una storia di consultazioni e di rispetto, potrebbe
accettarle e guarire così dal verme della dittatura e del terrorismo. È la
sua strada, la sua speranza. Ma se gli si chiede che cosa succederà ,
risponde: « Non è nelle mie competenze rispondere a questa domanda» , come ha
fatto a Philadelphia. Piega la testa da una parte: è uno storico, un
professionista, non un guru. Eppure, sul destino dell’ Europa ritiene nelle
sue competenze rispondere che, se non ci sarà un risveglio immediato, il
Vecchio Continente è destinato alla sconfitta di fronte all’ Islam. Ovvero: è
sicuro.