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Il governo laburista proporrà una modifica degli accordi di Wye con i palestinesi Barak tenta il primo blitz per la pace Il neopremier ve drà subito Mubarak, Arafat e Clinton

giovedì 8 luglio 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Ehud Barak di blitz, non c’ è dubbio, se ne intende. Da ex capo di Stato Maggiore e da comandate dell’ unità magica di Israele, la famosa Saieret Mathal, quella delle imprese impossibili, questa è la sua specializzazione. Nulla dunque di più naturale che il nuovo primo ministro di Israele abbia fissato un funambolico giro diplomatico intensivo fissato per i prossimi giorni mentre ancora i ministri visitano le loro nuove stanze disorientati. Tutti disorientati fuorché lui, che ieri, al momento di riprendere possesso del ministero della Difesa, che ha tenuto nelle sue mani insieme all’ ufficio del premier, ha detto: « Sono contento di essere tornato a casa» . Dunque: venerdì Barak andrà al Cairo a trovare il potente e permaloso Mubarak, che non pensi, il capo degli egiziani, che si vuol fare la pace in Medio Oriente senza di lui, e soprattutto che non si figuri uno scavalamento in direzione della Siria. Poi, subito la domenica, l’ atteso incontro con Arafat al passaggio di Erez, tra Israele e Gaza, e quasi subito dopo, mercoledì , l’ incontro a Washington con Clinton, che durerà alcuni giorni, perché dopo Netanyahu l’ amministrazione americana ha molto da ricucire con Israele. Poi, l’ Europa. Clinton ha fretta, prima che scada il suo mandato, ovvero tra circa un anno, di raccogliere il serto di gloria della pace mediorientale. Assad di Siria ancora non è nella lista degli appuntamenti, ma c’ è sicuramente molta gente che lavora per questo: i due seguitano a lanciarsi occhiate e complimenti, sia pure controversi, dato che Assad intanto compra due miliardi di dollari di armi dalla Russia. Ma si sa: il Medio Oriente è un posto strano, e la Russia funge tanto meglio da mallevadore quanto più è implicata, più o meno alla luce del sole, nelle organizzazioni militari dei suoi amici. La tradizione vuole questo. Tanto strano è il Medio Oriente, che ormai si parla scopertamente nei ministri della Difesa della possibilità che Barak riconfermi le posizioni morbide che aveva ai tempi in cui era il capo di Stato Maggiore riguardo all’ Iran: allora, Barak si rifiutava di vedere questo Paese, in quanto l’ unico non arabo della zona, come nemico mortale. Adesso potrebbe, si dice, stabilire una commissione di monitoraggio per la politica iraniana: insomma, Barak ha la grande ambizione di poter in futuro puntare sulla nuova tendenza moderata di Katami per una pace onnicomprensiva del Medio Oriene. Saddam, per ora, è tuttavia escluso da questo disegno. E’ chiaro che fino all’ incontro di Barak con Clinton, nessuna decisione sostanziale verrà presa: ma a Washington, Barak va con degli scopi ben precisi e anche con dei conigli nel cappello. Prima di tutto, sia Clinton che il nuovo primo ministro hanno ben chiara l’ idea che l’ incontro dovrà apparire agli occhi del mondo come un gran successo: Barak vuole rendere chiaro, che nonostante la sua indipendenza dagli Usa sia un dato di fatto, pure sotto la sua leadership l’ Amministrazione abbandonerà le simpatie esagerate per Arafat per tornare al vecchio amore di Israele. Clinton vorrebbe la realizzazione immediata della parte mancante dell’ accordo di Wye, forse l’ ha addirittura promesso ad Arafat: ma Barak non è tanto d’ accordo. Mettere in pratica l’ accordo minimalistico ma scomodo siglato dal suo predecessore Netanyahu, è un debole modo di intraprendere una strada che egli vorrebbe nuova e rivoluzionaria. Quindi desidera far contento Arafat in qualche modo, magari con la realizzazione di una clausola maggiorata territorialmente, ma poi intraprendere immediatamente la sua strada, quella degli « accordi definitivi» . Sullo sfondo, il fatto che a Barak, a differenza che a Netanyahu, non dispiace l’ idea di uno Stato palestinese: « Che i palestinesi» , dice il nuovo primo ministro israeliano, « definiscano i limiti della loro sovranità come vogliono, purché essa non danneggi Israele» . Per i punti dolenti, come Gerusalemme e gli insediamenti e la cessione definitiva di territorio, Barak spiegherà a Clinton i suoi punti di vista. Si sa che Arafat vorrebbe il 95 o il 90% del West Bank, e Barak propone un po’ meno, quanto ancora non lo si sa, ma la misura pare sia negoziabile. E poi, poiché è evidente che l’ Entità Palestinese non può sopravvivere se Gaza resta divisa dal West Bank, vuole offrire un ponte di 47 km che connetta Hebron a Gaza direttamente. Per Gerusalemme ha incaricato uno dei suoi uomini migliori, Chaim Ramon, di occuparsene dall’ alto di una posizione ministeriale, subito rimasta invisa al sindaco della capitale Ehud Olmert, del Likud. Ramon dovrà camminare sulle uova, come ha già cominciato a fare ieri quando ha detto che il quartiere di Har Homa si potrà costruire perché si tratta di una zona vuota; ma di quello di Ras el Amud, in zona prettamente araba, nemmeno parlarne; Ramon dovrà gestire la linea della non divisione della città , che è quella di Barak, e insieme della cessione di una parte che soddisfi i palestinesi, ben confinante come Gerusalemme, come Abu Dis, che porterà poi il nome di Al Quds, ovvero Gerusalemme in arabo. Quanto agli insediamenti, Barak punta allo smantellamento di quelli più interni alle parti del territorio che passerà in mano ad Arafat, senza però toccare agglomerati ormai troppo integrati nel tessuto nazionale. Intanto si costruisce il sentiero siriano, che Netanyahu aveva ben preparato senza però osare poi le dure concessioni territoriali che Barak è più pronto a fare.

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