IL GIORNO PIÙ DURO PER IL PREMIER DI GERUSALEMME Ritorna uno spettro E’ il fronte del Libano
domenica 8 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E' aria di tragedia in Medio Oriente. Gli eventi delle ultime ore
sembrano
riportare il tempo molto indietro. Ormai, oltre al fronte palestinese
si è
aperta la scena terribile del conflitto con tutto il mondo arabo.
I cittadini di Kiriat Shmona, sotto il confine del Libano da quando a
giugno
Ehud Barak aveva riportato a casa i soldati, non avrebbero mai
pensato di
dovere così presto passare di nuovo notti di terrore nei rifugi. E
invece la
notte è caduta sul Nord mentre le famiglie trascinano sacchi a pelo e
coperte nei rifugi; intanto i soldati si ammassano sul confine e gli
aerei
rombano nel cielo. A metà del giorno sul bagnato dei grandi moti
palestinesi
è piovuto l'ingresso degli Hezbollah, e quindi del Libano e della
Siria. Si
può chiamarla come si vuole, « guerra parziale» come la chiama Shaul
Mofaz,
il capo di Stato Maggiore, o « crisi profonda» come la vuole Yossi
Sarid,
capo del Partito radicale, ma adesso di guerra si tratta.
In queste ore, si svolge su due fronti principali, quello del Libano
e
quello della West Bank, specie nella zona di Nablus, dove si trovava
la
Tomba di Giuseppe.
Il ritorno degli hezbollah è stato spettacolare. Dopo che l'Onu aveva
verificato che Israele si fosse ritirata dal Libano in ogni
centimetro
quadrato dovuto e aveva firmato la sua conclusione, il lancio di
pietre
dalla parte araba verso i soldati israeliani sul confine era stato
considerato solo uno strascico del passato: ma ieri, verso l'ora di
pranzo,
in uno scenario di alture silenziose e di pietre, un gruppo di
Hezbollah su
una macchina civile si ferma, lancia un missile e apre il fuoco
richiamando
così una pattuglia di soldati. Poco lontano si erano svolti altri due
scontri destinati forse a creare la tensione che ha facilitato il
rapimento.
Anche là raffiche, feriti israeliani e due morti, libanesi o forse
palestinesi. La jeep si avvicina al luogo da cui sono partiti gli
spari, e i
tre soldati che vi si trovano vengono rapidamente neutralizzati e
buttati
dentro la macchina civile che parte ad altissima velocità .
Dopo l'allarme, cominciano a girare nell'aria gli elicotteri
israeliani. Le
ricerche diventano sempre più disperate di ora in ora: un paesaggio
che
somiglia a quello della Sardegna inghiotte i rapitori e i rapiti.
Poco dopo
il governo libanese dichiara che i prigionieri verranno rilasciati
solo se
verranno liberati « tutti i prigionieri libanesi in Israele» . Una
richiesta
fuori di ogni contesto, tesa a dimostrare sostanzialmente che il
Libano è
dalla parte dei rapitori; e se lo è il Libano, certamente lo è anche
la
Siria. Anche gli Hezbollah rivendicano il rapimento e ripetono la
richiesta
libanese. Tutto il mondo politico e militare israeliano sono come
schiaffeggiati. Mentre ancora tutto il Paese brucia, e si spara sulle
strade
e sempre più frequenti si fanno gli assedi alle strutture civili,
Barak si
prende il secondo terribile schiaffo della giornata.
Il primo risale all'alba di ieri. La notte precedente, dopo una
riunione a
casa del primo ministro con il capo di Stato Maggiore e il capo dei
servizi
segreti, una storica decisione viene presa: sgomberare la Tomba di
Giuseppe,
un santuario dove si crede sia seppellito il patriarca, indifendibile
perché
situata dentro la « zona A» nella periferia di Nablus, un’ enclave
israeliana
dentro l'Autonomia Palestinese conservata per consentire il culto in
un
luogo sacro agli ebrei. Lo sgombero duole, ma la posizione è
insostenibile:
ci sono dentro 12 soldati assediati senza sosta; due giorni prima vi
ha
perso la vita dissanguato in quattro ore di agonia un militare perché
è
stato impossibile sgomberarlo. La polizia palestinese nella notte
prende in
consegna il basso edificio ornato da una cupoletta bianca e da
vecchissimi
rampicanti. Gli israeliani portano via il Sefer Torah, la Bibbia
arrotolata
e i libri di preghiera. Si accordano con i palestinesi che verranno
conservate le attrezzature che nella fretta devono lasciare nel luogo
e che
il monumento sacro verrà restituito.
Nella notte esce il convoglio israeliano, e subito si rende conto che
qualcosa non va: gli sparano addosso. Un ufficiale viene ferito.
Quando
sorge il sole, l'accordo è già finito: la folla palestinese prende
possesso
del luogo considerato una preda di guerra. In poche ore l'edificio
viene
smembrato persino nelle antichissime pietre, bruciato, smantellato
con
picconi e sbarre di ferro. Una fotografia di Arafat viene issata sul
tetto
dove i giovani palestinesi sventolano le loro bandiere. Il comandante
della
zona della Giudea e della Samaria, Benny Ganz, non crede alle sue
orecchie:
« C'è stato un incontro fra gli ufficiali più rappresentativi della
nostra e
della loro parte, sono stati presi impegni molto precisi...
nonostante la
mia lunga esperienza - dice furioso, alto, asciutto, provato dalle
lunghe
ore di tensione - non ho masi visto una situazione così terribile.
Non credo
che si possa continuare così , reagiremo duramente, riprenderemo la
Tomba» .
Libanizzazione, ovvero l'idea che gli israeliani possano essere
cacciati
sulla punta del fucile da ogni luogo, in ebraico si dice
semplicemente
« lebanonisazia» . E mentre Israele dal Nord al Sud brucia, la si
ripete
sempre di più in queste ore in cui si prepara la battaglia. Ganz non
esclude
affatto che nelle prossime ore si possano usare i carri armati per
riprendere quelle che ormai sono le rovine della Tomba di Giuseppe.
Shimon
Peres, la colomba per eccellenza, con un tono d'ira che gli è del
tutto
inconsueto ha detto che se Arafat non ha saputo garantire la custodia
della
Tomba di Giuseppe, e se ha permesso gli scontri di ieri a Gerusalemme
dopo
che la polizia israeliana era letteralmente sparita dalla Spianata
delle
Moschee e dintorni, non è credibile quando promette di conservare la
libertà
di preghiera per tutti a Gerusalemme.
Ehud Barak sa che il tema dei soldati rapiti, a causa delle terribili
esperienze del passato, è tale da richiedere una fortissima risposta
israeliana. Se i soldati non torneranno a casa, l'attacco « sarà
particolarmete duro» . Intanto però seguita a trattare, e ha chiesto a
Clinton di intervenire con tutte le sue forze per convincere i
libanesi a
rilasciare i prigionieri. Ma la gente a Beirut danza per le strade
come per
una festa. Invece, probabilmente, è una danza di guerra.