IL FUTURO DEL MEDIO ORIENTE SECONDO IL PRIMO MINISTRO DI GERUSALEMME, IN VISITA A ROMA SHARON « Soltanto io posso fare la pace»
giovedì 20 novembre 2003 La Stampa 0 commenti
ROMA
HA l'aria affannata e frettolosa di chi è in visita di affari, il
primo
ministro israeliano Ariel Sharon. A Gerusalemme, dove torna oggi dopo
tre
giorni di visita in Italia, lo aspetta un incontro di lavoro per
preparare
il colloquio con il nuovo premier palestinese Abu Ala. A Roma, Sharon
si
lascia dietro una scia di incontri - gli ultimi, ieri, con il
ministro degli
Esteri Frattini, il presidente Ciampi e i leader dell'opposizione -
il cui
tema è stato chiaro: noi torniamo al tavolo di pace, ma l'Europa saprà
accompagnarci in questo percorso assumendo « un atteggiamento più
bilanciato» ? Sharon l'ha chiesto all'amico che più di ogni altro Bush
gli
aveva raccomandato, Silvio Berlusconi, che gli ha promesso di mediare
con
un'Europa « dislocata spesso dalla parte dei palestinesi» . In cambio ha
promesso, come rivela in questa intervista: « Sono io colui che può
fare la
pace, penso che in questo momento possiamo guardare avanti con
ottimismo» .
E' convinzione diffusa che uno dei più seri ostacoli alla pace sia
la sua
stessa politica, che lei non voglia dare uno Stato ai palestinesi, che
voglia mantenere gli insediamenti.
« Addirittura in tempo di campagna elettorale caratterizzai la mia
linea di
candidato primo ministro sulla scelta di dare uno Stato ai
palestinesi.
Sapevo che era pericoloso per i voti, ma volli essere onesto di
fronte al
mio partito. So che sono spesso visto come un generale in cerca di una
guerra. In realtà sono diventato generale dopo essere stato per tanti
anni
nell'esercito, dopo avere attraversato tutte le guerre di Israele, in
qualsiasi ruolo. Sono stato ferito due volte, e solo chi ha la mia
esperienza sa quanto orrore e quanto sangue ci sia in una guerra, e
quanto
la pace sia dunque indispensabile. E' per questo che sono deciso a
fare la
pace, e penso di potere io soltanto arrivare a questo risultato» .
Però è la sinistra che ha incontrato i palestinesi in questi giorni
mettendo
a punto la Carta di Ginevra.
« La Carta di Ginevra non ha nessuna chance di diventare un piano di
pace, è
peggio degli accordi di Oslo che hanno portato ai tragici risultati
che
conosciamo. Inoltre la sinistra non potrebbe mai trovare l'assenso
della
destra per una pace: semmai la sinistra può guidare una guerra con
l'appoggio della destra. Io invece posso portare alla pace con
l'appoggio
della sinistra» .
Sappiamo che appena lei tornerà , cominceranno i preparativi per il suo
incontro con Abu Ala. Significa che lei è pronto a riconoscere a
breve uno
Stato palestinese?
« Ho un piano in tre fasi. La prima prevede che i palestinesi cessino
il
terrorismo e il massiccio incitamento che spinge a uccidere gli ebrei.
Devono requisire le armi, fermare gli estremisti islamici,
trasformare le
loro milizie e unificarle. In una seconda fase, Israele riconosce lo
Stato
palestinese senza che tuttavia ne siano fissati i confini
definintivi. Al
terzo punto vi è finalmente, se tutto prosegue nella calma e senza
stragi,
il ritorno al tavolo di pace per stabilire i confini permanenti e le
modalità di relazione fra i due Stati. Spero in definitiva che la
Road Map
riprenda la sua strada» .
Quando lei incontrerà Abu Ala gli proporrà in una prima fase che
cessino gli
assassini mirati in cambio di una nuova tregua? Si può prevedere una
minore
attività che metta a repentaglio le vite dei civili nelle città
palestinesi?
« Vorrei che fosse chiaro: se non c'è terrorismo la volontà di Israele
di
colpire i terroristi non ha motivo di esistere. Se ci sarà calma,
anche noi
non avremo interesse a colpire. Ma se avremo informazioni di
attentati in
preparazione faremo di tutto per fermarli, e se ci colpiranno faremo
di
tutto per combattere il terrorismo. In un processo di pace ordinato i
palestinesi dovranno fare quello che hanno promesso di fare con la
Road Map:
le riforme necessarie, la lotta al terrorismo. Qualsiasi tregua, come
per
esempio quella che può desiderare Hamas perché è braccata e in fuga,
dovrà
essere ispirata non dal desiderio di guadagnare tempo, ma di mostrare
un
autentico cambiamento di intenzioni. Nessuna tregua può essere
dettata solo
dal desiderio di organizzare nuovi attentati» .
In questo modo lei affida tutto il lavoro ai palestinesi, mentre
molti hanno
accusato proprio il governo israeliano di non avere dato forza al
governo di
Abu Mazen, che è stato quindi destituito da Arafat.
« Abu Mazen è stato destituito solo per pura volontà di Arafat, che ha
deciso
così di dimostrare il proprio totale potere e di distruggere la
strategia
della Road Map. Noi abbiamo liberato 500 palestinesi detenuti nelle
carceri
israeliane, ed è stato proprio il governo di Abu Mazen a chiederci di
scarcerarli a piccoli gruppi perché si prolungasse il senso di un
nuovo
rapporto che si andava creando. Certo una cosa che non faremmo mai,
né ieri
né oggi, è liberare chi ha le mani sporche di sangue» .
Ma anche Abu Ala nasce dal ceppo di Arafat. Come pensa di poter
trattare con
lui?
« Abu Ala, a differenza di Abu Mazen, è un politico di grande
esperienza e mi
risulta che sia intenzionato a realizzare la Road Map. Bisogna vedere
se
Arafat lo lascerà fare: la strategia di Arafat è da 40 anni quella del
terrore e dell'uso della violenza per ottenere ciò che vuole. Nella
sua
storia non c'è cambiamento, anche quando Israele e il mondo si sono
illusi
che fosse in corso un processo di pace. La sua strategia è
alternativamente
che il terrore metta in fuga Israele stessa, o che la demografia
riduca gli
ebrei a una minoranza così da cancellare lo Stato ebraico» .
Pensare questo significa distruggere ogni possibilità di trattativa.
« No, perché questa strategia non ha funzionato. Per metterla in atto
hanno
ucciso quanti più civili possibile, donne, bambini: nell'ultimo
attentato di
Haifa la terrorista suicida ha mangiato, ha pagato il conto e si è
fatta
saltare per aria accanto a una culla uccidendo altre 19 persone e
sterminando tre generazioni nei casi di due famiglie intere sedute a
pranzo.
I ragazzi vengono uccisi nei pub e sugli autobus, i nostri uccisi in
tre
anni - 892 - in proporzione corrisponderebbero a 10.347 italiani. Ma
la
società israeliana non si è affatto spezzata, continua a vivere e a
produrre, e anche a desiderare la pace. E mi giungono informazioni
che nel
pubblico palestinese ci siano delle crepe rispetto alla strategia
della
violenza, che una parte della popolazione vorrebbe trattare e si
rende conto
che Arafat è in gran parte responsabile della sua sofferenza: questo
apre
uno spiraglio» .
Lei è venuto a Roma per cercare la mediazione di Berlusconi come
presidente
di turno Ue su problemi specifici?
« Il semestre italiano è stato il più equilibrato. Il bilancio della
mia
visita è certamente quello di un ottimo rapporto sia personale che
politico
con Berlusconi. Ieri guardavo il funerale delle vittime italiane del
terrorismo, l'immenso lutto delle famiglie, dei soldati, dei capi
politici,
e ho pensato che quello che vedevo era molta soffernza ma anche molto
orgoglio: l'Italia si erge con forza di fronte al terrorismo, sono
certo che
il suo morale non si spezzerà , e ho comunicato a Berlusconi la mia
sicurezza
che l'Italia non ritirerà le sue truppe di pace dall'Iraq. L'Italia
capisce
che c'è una guerra non certo contro l'Islam ma contro il terrorismo,
e ci
comprende» .
Lei ha chiesto a Berlusconi di mediare nel rapporto con un'Europa che
Israele ha sempre considerato ostile?
« Non vogliamo un rapporto perturbato con l'Europa, vogliamo
rafforzare i
rapporti sul piano economico, scientifico, culturale, e anche di
sicurezza
contro il terrore» .
Proprio in coincidenza con la sua visita a Roma, però , l'Europa sotto
presidenza italiana ha pubblicato un documento di critiche molto dure
nei
confronti della sua politica, in particolare sul « muro» .
« Anche fra amici ci possono essere divergenze. Ma le critiche su
quello che
voi europei chiamate muro, e che muro non è , sono esagerate e
ingiuste. Muro
in ebraico si dice “ chomà ” , e quello che invece noi costruiamo è un
“ gadè r” ,
una barriera di filo spinato molto sofisticata perché spesso dotata
di radar
e di sistemi elettronici. Una “ chomà ” circonda la città vecchia di
Gerusalemme, gli antichi romani ne costruivano per proteggere le loro
conquiste, da noi l'unico pezzo di muro riguarda nove chilometri su
parecchie centinaia di “ gader” , indispensabili per difendere
l'autostrada
principale che collega il Nord e il Sud del Paese, e che è stata già
bersagliata di spari dalle alture circostanti, con svariati morti fra
i
passeggeri delle auto di passaggio. Non si tratta di un confine
politico fra
noi e i palestinesi ma di un recinto che ha fondamentalmente due
scopi: il
primo è impedire l'ingresso dei terroristi suicidi, e in questo senso
abbiamo a Gaza un esperimento che da anni funziona perfettamente. Il
secondo
è chiudere gli infiniti passaggi dalla Giudea e dalla Samaria di
decine di
migliaia di palestinesi che vanno a insediarsi nelle cittadine
arabo-israeliane. I nostri rapporti col milione di cittadini
arabo-israeliani sono in grande maggioranza pacifici, da cittadino di
Israele a cittadino di Israele. Ma fra i clandestini ci sono parecchi
pericoli di terrorismo. Non sarà questo necessariamente il confine,
una
volta arrivati alla pace potrà essere spostato» .
Il mondo però la accusa di aver voluto costituire uno stato di fatto
che non
consentirà la contiguità del territorio palestinese. Il Papa vi ha
addirittura invitato a costruire ponti e non muri.
« Io apprezzo molto il Santo Padre, che considero una grande
personalità , e
condivido il desiderio di costruire ponti. Ma certo non possono essere
costruiti sui corpi dei nostri civili uccisi dal terrorismo. Per noi
non ha
nulla di piacevole costruire un recinto: cerchiamo di farlo
alleviando il
più possibile le difficoltà dei palestinesi, sappiamo che talora
vengono
separati dalle loro coltivazioni e allora trapiantiamo i loro ulivi
in modo
che possano seguitare a coltivarli. Io sono un contadino, come i miei
genitori: nella nostra famiglia prima di sradicare un albero si
faceva un
consiglio di famiglia. Noi spostiamo, risarciamo, cerchiamo di fare
meno
danni possibile, ma se mi si chiede di scegliere fra gli applausi e la
sicurezza di miei cittadini scelgo la sicurezza» .
Voi siete impegnati da decenni nella lotta contro il terrorismo, per
battere
il quale non sembra essere ancora stata trovata una ricetta. Le
sembra utile
proseguire operazioni militari che mettono a repentaglio anche la
vita dei
cittadini palestinesi?
« Pagando il prezzo anche di molte vite di nostri soldati agiamo nella
maniera più cauta e morale possibile, seguitando tuttavia a fare ciò
che si
richiede a qualsiasi Stato, difendere i propri cittadini quando si
tratta di
un attentato terrorista che può essere evitato. Tuttavia per battere
il
terrorismo suicida il problema non è tanto e soltanto fermare i
singoli ma
colpire le organizzazioni nei finanziamenti, nell'indottrinamento, nei
rifornimenti di armi» .
Signor primo ministro, ha fatto scandalo il sondaggio
dell'Eurobarometro per
cui Israele risulta all'opinone pubblica europea il Paese più
pericoloso al
mondo. A chi ha parlato di antisemitismo, alcuni hanno risposto che si
tratta invece di legittima critica alla sua politica.
« Quando si uccidono gli ebrei nelle sinagoghe di Istambul durante lo
shabbat, quando si bruciano le scuole ebraiche a Parigi, quando un
sondaggio
rivela che il 17 per cento degli italiani pensano che sarebbe meglio
che
Israele non esistesse, vi sembra che resti l'ombra di un dubbio?
Certo è che
l'antico e profondo antisemitismo europeo viene nutrito alla falsa
idea di
un “ eccessivo uso della forza” da parte dello Stato degli ebrei,
perché è
difficile pensare che Israele, uno Stato finalmente autonomo,
indipendente e
in grado di difendere i suoi cittadini, sia davero lo Stato di quegli
ebrei
che nel passato tutti potevano perseguitare a piacimento» .
Crede che le critiche dei governi europei esprimano, sia pure
inconsapevolmente, antisemitismo?
« Non credo che i governi siano antisemiti, certo non ufficialmente.
Ci sono
varie enfasi e vari livelli fra i vari Paesi. Credo sia semplicemente
un
atteggaiemento non equilibrato. Secondo me c'è molta ignoranza della
situazione, ci sono anche in ballo interessi economici in Medio
Oriente, e
una grande minoranza musulmana, 17 milioni di musulmani in Europa che
diventano una potenza politica importante. In Europa c'è ancora chi
vuole
vedere gli ebrei come una minoranza protetta» .