Il figlio di Sharon vede Arafat Continuano le violenze nei Territ ori, tre morti
sabato 14 luglio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Tre palcoscenici ieri per il teatro mediorentale. Il primo, quello
consueto
della tragedia: due israeliani David Cohen, 31 anni, e Yeheskiel
Muallem 49,
ucciso ieri notte a colpi di pistola mentre andavano in macchina
vicino a
Hebron, due abitanti degli insediamenti la cui vita vale meno di un
soldo
bucato in questi giorni; bersaglio così comune che ci sono stati fra
loro
tredici feriti in due giorni fra cui un bambino di sette mesi; un
personaggio di primo piano nella piramide di Hamas, Fawaz Badran,27
anni,
saltato per aria insieme a un’ auto bomba a Tulkarem, nell’ West Bank.
Era
ricercato dagli israeliani per aver organizzato i due attentati
suicidi a
Natanya (marzo e maggio); è morto nella città di Tulkarem, davanti al
suo
negozio di elettrodomestici, i palestinesi accusano lo shabbach ( i
servizi
segreti israeliani) di averlo ucciso. Da parte israeliana non c’ è
conferma
che si sia trattato di un’ azione militare, e si indica anche la
possibilità
di un « incidente sul lavoro» . Ma Hamas punta decisamente il dito, e
dice che
si vendicherà quanto prima. Al posto di blocco di Erez, presso Gaza,
e stato
ucciso dall’ esercito israeliano un palestinese scoperto mentre si
avviava a
far esplodere due grosse borse di esplosivo, poi fatte esplodere.
Sono continuati a lungo gli scontri per la strade di Hebron dove
l’ esercito
si è dovuto battere su due fronti: contro i palestinesi e contro gli
abitanti esasperati per avere avuto due lutti in meno di 24 ore. Nove
palestinesi sono rimasti feriti mentre gli scontri a fuoco creavano
un
inferno raramente visto prima nella città dei Patriarchi, Gli
abitanti ebrei
del luogo, terrorizzati e sconvolti dalla perdita di due dei loro in
12 ore,
hanno cercato di colpire negozi e abitazioni arabe. La polizia
militare ha
avuto cinque feriti a sua volta mentre tratteneva la popolazione,
ormai
terrorizzata, convinta di essere stata abbandonata da Sharon e quindi
propensa a gesti disperati, che le forze di sicurezza temono
alquanto.
Il secondo e il terzo scenario della giornata riguardano la famiglia
Sharon,
padre e figlio. Mentre il padre era intento a spiegare la linea del
suo
governo agli italiani nel tentativo di portare l’ Europa a premere su
Arafat
perché si decida a ordinare il cessate il fuoco, il figlio Omri, che
nel
passato aveva già svolto simili missioni, nottetempo, avvolto nel
buio e nel
mistero, andava a Ramallah a incontrare Yasser Arafat, nonostante la
critica
severa del potere giudiziario israeliano che non ha mai trovato
accettabile
l’ uso del figlio del premier come suo braccio esecutivo. Ma
l’ incontro, da
cui nessuno si aspetta un risultato straordinario ma che è pure un
tentativo
di seguitare a parlare (Sharon ha detto che deriva da un’ iniziativa
palestinese), va letto, visto che Sharon ha detto tante volte che lui
non
parla sotto il fuoco, come un segnale che la situazione è diventata
estrema.
Sharon, mentre rassicura che Israele non farà mai la guerra, teme che
un
attentato di dimensioni particolarmente spaventose o la continua
strage
degli abitanti degli insediamenti, porti alla fine a una grossa
reazione
israeliana. Qui, Arafat potrebbe coronare la sua strategia di
richiamare sul
campo una forza internazionale di controllo che lo rimetta in
posizione
vantaggiosa. Sharon persegue strategicamente, per ora, il silenzio
delle
armi, che dice « se durerà per sette giorni, rimetterà in moto le
trattative» . Arafat, dice che invece bisogna rimettersi a parlare
anche se
le armi sparano. Sharon non ci sta, perché teme che Arafat alzi,
sotto il
fuoco, il prezzo di un accordo eventuale. Con questi interessi
contrapposti,
non resta che la pressione internazionale che possa far pendere la
bilancia
verso il silenzio o il rumore delle armi.