IL DIBATTITO SOLLEVATO DA « HAARETZ» : BASTA GUARDARE CHI SONO I MAGG IORI ISPIRATORI DELLA CASA BIANCA Guerra « ebraica» al Raí ss? Israele disse nte « La logica è americana, ma c’ è un nesso con la nostra situazione»
domenica 6 aprile 2003 La Stampa 0 commenti
DEI circa sei milioni di ebrei che vivono negli Usa, la percentuale
di chi
è a favore e di chi è contro la guerra è identica; nel Congresso,
l’ ottobre
scorso, i deputati ebrei hanno votato a favore della guerra in
percentuale
minore a quella generale dei favorevoli. Eppure la pubblica opinione
in
Israele, e in generale il dibattito ebraico nel mondo, si occupa
moltissimo
di un fenomeno che Ari Shavit, un giornalista di ottima levatura, ha
descritto nel fine settimana sul quotidiano Haaretz, in un articolo
dal
titolo scherzoso « Il fardello dell’ uomo bianco» . Vi si parla della
vox
populi americana per cui un gruppo di intellettuali neocoservatori
ebrei
sarebbe il maggiore ispiratore del Presidente nella sua decisione di
intrapredere la guerra in corso. Il gruppo, dice Shavit, vive la sua
avventura intellettuale come una missione di civilizzazione, una
indispensabile impresa non solo tesa a mondare il Medio Oriente dalle
armi
di distruzione di massa e dal terrorismo, ma anche a disegnare un
mondo in
cui regni la democrazia come antidoto allo scontro delle civiltà e
delle
religioni.
Shavit non è il solo in Israele o occuparsi della faccenda, la
discussione
ferve anche su altre testate alla tv e alla radio. In Israele la cosa
preoccupa e intriga nello stesso tempo. Preoccupa, perché negli Usa
ha
sollevato ondate di aggressività antisemita. Intriga, perche l’ idea
americana che solo la democrazia possa dare pace al Medio Oriente e
che
Saddam rappresenti un gigantesco pericolo è in genere condivisa:
Israele
dall’ Iraq ha ricevuto sempre e soltanto maledizioni, promesse di
morte e
distruzione, fin dal 1948, quando fu l’ unico a non firmare
l’ armistizio, e
oggi Saddam dona 25 mila dollari alla famiglia di ogni terrorista
suicida.
Un altro importante articolo sull’ argomento è uscito sul « Jerusalem
Post» :
sulla copertina del suo settimanale del 21 marzo il giornalista Bret
Stephens parla addirittura (con evidente sarcasmo) di « The Jewish
War» , la
guerra ebraica, e il contorno di foto ci mostra i falchi di cui parla
anche
Shavit: politici-intellettuali come Paul Wolfowitz, Douglas Feith,
Eliot
Abrams, e giornalisti di peso come William Kristol, direttore del
« Weekly
Standard» , Charles Krauthammer, editorialista del « Washington Post» e
del
« Time» , e anche Tom Friedman, il fiammeggiante editorialista del « New
York
Times» . Che cosa dicono dei neconservatori ebrei negli Usa? Cose per
cui Abe
Foxman, il capo dell’ Anti-Diffamation League, ha protestato. « Se non
fosse
stato per il forte supporto della comunità ebraica, non staremmo
facendo
questa guerra contro l’ Iraq» , dice il congressman democratico Jim
Moran.
« Richard Perle, Paul Wolfowitz e Kristol sono la gang di
intellettuali
conservatori che spinge avanti la guerra» ha scritto sul « New York
Times»
Maureen Dowd. George Anne Geyer, commentatore del « Washington Times» :
« La
campagna dell’ Iraq è uscita prima di tutto da falchi pro Israele» . E
via
così , per un bel pezzo.
Che cosa dicono gli israeliani di questo? Rispondono che è certo vero
che
alcuni fra i più articolati sostenitori della guerra sono ebrei; è
anche
vero che alcuni fra i più articolati militanti antiguerra sono a loro
volta
ebrei, come Susan Sontag, il drammaturgo Tony Kusher, il direttore di
Tikkun
Michael Lerner, l’ editorialista del « New York Times» Paul Krugmann.
La
realtà dei neoconservatori ebrei ha un carattere comunque nuovo, che
fa
parlare di loro, perché in genere la comunità ebraica è stata sempre
di
sinistra.
Un altro carattere discusso è che si tratta di militanti decisi, in
prima
linea, enormememnte scoperti: Kristol spiega a Shavit che « il
problema del
Medio Oriente e il suo essere immenso terreno di cultura per il
terrorismo è
l’ assenza di democrazia. Quindi l’ unico modo per bloccare gente come
Saddam
Hussein e Osama bin Laden è disseminarla, cambiare radicalmente le
politiche
e la cultura che hanno dato i natali a questo fenomeno» . Krauthammer
sostiene che gli americani sono determinati ad agire subito, dopo
aver
subito l’ 11 settembre, perché sanno che non c’ è più tempo contro il
terrore
e le armi di distruzioni di massa.
Insomma, dice che è una logica tutta americana quella in cui la
guerra viene
condotta, e per niente israeliana. Tuttavia, la guerra propone un
nesso con
la situazione israeliana che ancora non è in primo piano, ma già
affiora nel
pensiero dei neoconservatori, e lo costringe a acrobazie: in realtà
la
guerra ripropone a Israele con insistenza la tematica del « Nuovo
Medio
Oriente» di Shimon Peres. In una visione che certo non ha a che fare
con
nessun « falco» il Premio Nobel vedeva nella pace il nesso fra Medio
Oriente,
sviluppo e democrazia. Adesso, se il Medio Oriente secondo le
speranze dei
neoconservatori dovesse cambiare, Israele dovrebbe tornare al
processo di
pace. Infatti Israele sa, e Bush insieme a Tony Blair in caso se lo
scordasse glielo ripete di continuo, che « la road map è importante
quanto la
guerra contro l’ Iraq» , ovvero che uno dei primi cambiamenti grossi
che la
guerra deve portare è il riavvio di un tavolo di trattative. Se i
« falchi»
americani ebrei fossero così « israeliani» e così « falchi» non
avrebbero mai
portato Bush a battere il pugno sul tavolo per la road map, come
invece fa.