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Il convegno organizzato da Sant'Egidio

giovedì 31 agosto 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Con sei mani (cristiane, ebraiche e musulmane) altamente qualificate, visto che si tratta di mufti, arcivescovi e rabbini, che piantano insieme tre ulivi fra le bianche pietre dell'antica Gerusalemme, dentro il patriarcato armeno, Sant'Egidio ha festeggiato la vittoriosa conclusione del suo convegno. Dopo due anni di preparazione, la Comunità è riuscita a raccogliere per due giorni nomi altisonanti dei tre monoteismi nel luogo più perversamente carico d'amore di Dio e di odio teologico; e con la carica utopistica dei veri visionari, ne ha spremuto un messaggio di pace. Il risultato è che sulle vie di Gerusalemme, pavimentate di simboli prima ancora che di pietre, oltre a tanti segni di divisione, ora ce n'è uno di amicizia: i tre alberi che ricordano tutte le buone parole dette in questi giorni. Nonostante qualche punta di discordia, anche i politici ieri hanno fatto la loro parte, e l'hanno fatta in giorni di scontro per Gerusalemme, mentre si chiudono uffici palestinesi e si parla di nuovo di serrare l'Orient House. Invitati a discutere sul processo di pace a due anni dall'accordo di Oslo, il leader palestinese gerosolimitano Feisal Husseini e il ministro dell'Economia israeliano Yossi Beilin, condotti con decisione da Arrigo Levi, hanno incrociato il ferro nell'albergo di Notre Dame, a Gerusalemme Est. Nessuno è andato oltre la traccia consentita dall'attuale stadio delle trattative, anche perché , come ha detto Beilin, esistono già 90 piani di soluzione del problema della Città Santa, e quindi è difficile scegliere. Per Husseini il disegno è : e una palestinese, dentro un'unica città . Per Beilin: il rischio di far naufragare gli accordi già raggiunti mettendo al fuoco anche la prematura questione di Gerusalemme. È indispensabile sceverare la parte politica da quella religiosa. Gerusalemme è l'indivisibile capitale d'Israele, ma c'è spazio per negoziare e cercare accordi, come è già avvenuto con Oslo. Tutti e due i leader, degli autentici nell'ambito di schieramenti avversi, si sono ricordati con commozione i loro personali incontri segreti antecedenti ad Oslo. Oggi tutto è diverso, hanno detto ambedue, tutto è migliorato. Certo, hanno risposto ad Arrigo Levi che chiedeva se il processo di pace sia irreversibile, possono esserci ancora delle brutte sorprese. Husseini ha accusato Beilin di applicare ai check point pesanti misure di sicurezza che impediscono la libertà degli arabi: e a esserne penalizzati sono soprattutto gli anziani, ha detto. Beilin ha spiegato che è difficile evitare controlli finché seguitano ad esplodere gli autobus. E a sua volta ha accusato i palestinesi e in particolare Arafat di insistere troppo sul termine Jihad, guerra santa, destando paura fra gli ebrei ed eccitando i suoi. grande e non alla piccola Jihad, quella che ogni uomo combatte nel suo cuore per migliorare se stesso e il mondo dei credenti; e non alla guerra santa cui Maometto pose fine quando entrò alla Mecca. Chi l'avrebbe detto, ha sorriso Levi, che la piccola Jihad sia peggiore della grande? I profeti, ha commentato Beilin, di rado hanno dei bravi addetti stampa. Ha riso anche Feisal Husseini. Un piccolo miracolo di Sant'Egidio, che ha regalato a Gerusalemme il sogno della pace in due giorni di fine estate. Fiamma Nirenstein

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