IL CASO UNO CHOC NAZIONALE Quella stretta di mano Un pugno allo stoma co per gli israeliani
martedì 18 gennaio 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV CI siamo, ha commentato il leader del Golan Eli Malka
guardando la tv, che domenica pomeriggio dava in diretta l’incontro
Assad-Clinton:
tremila ebrei siriani dalle grinfie della dittatura, adesso gli
vogliamo regalare altri 10 mila ebrei: noialtri, i residenti del
Golan. Si tratta di una reazione estrema, certo, ma quando tutta
Israele si è piazzata l’altra sera a quattro mesi e tre giorni di
distanza davanti al televisore, ancora una volta si è dovuta tener
forte ai braccioli della poltrona per digerire la seconda stretta di
mano proibita dopo quella fra Rabin e Arafat: adesso il vecchio amico
di famiglia, quel ragazzone del Presidente americano, era là a dire
ai giornalisti di tutto il mondo come quello con Hafez Assad
risultasse un incontro diretto e prolungato:
inferiore alle aspettative, tutt’altro.... Un commento, hanno
sghignazzato amare molte famiglie israeliane, che può apparire
ironico trattandosi, come ha scritto il New York Times,
del mondo di assassinio ancora in carica, o, come ha scritto il Wall
Street Jour nal, dell’uomo che
di training per terroristi, completi di scuole di esplosivo, di tiro
e di percorsi di guerra. Un’altra spiritosaggine in voga nel giorno
dell’incontro era quella di sedersi di traverso sul divano di fronte
al televisore, visto che così , si dice, sempre un po’ storti e sul
margine della poltrona, Assad piazza i suoi interlocutori, che dopo
un po’ avvertono ferocemente la preminenza di un leader forte e
rilassato, alto sul suo seggiolone. Sono scherzi che esorcizzano un
profondo sentimento di inquietudine: la prima stretta di mano del 13
settembre, è stata pur sempre una scelta israeliana. E Arafat è il
nemico interno, quasi il nemico interiore, che gioca dentro un campo
quanto mai controverso, ma tuttavia sotto controllo. Hafez Assad è
il nemico esterno, il capo di uno Stato in guerra, padrone di un
potentissimo esercito. E anche se la sua maggiore protezione, quella
sovietica, è venuta a cadere, tuttavia non ha mai abbandonato lo
spauracchio dell’opzione militare. Infatti, curioso a dirsi, uno dei
punti di vista più possibilisti verso la pace con la Siria è quello
dell’esercito. Un esperto militare come Jaacov Erez, che ricorda
ancora la terribile notte del kippur 1973 quando i carri armati
siriani ruggirono la loro vendetta sulle alture del Golan facendo
strage di soldati israeliani e le lacrime di Moshe Dayan, accorso nel
buio, è convinto che non ci sarà pace senza la Siria:
Assad è quella che può consentire la grande svolta rispetto al
nostro permanente stato di guerra, che ci può consentire una mano
tesa anche con la Giordania e con il Libano.... L’esercito sa bene,
infatti, che Assad è l’unico che può letteralmente dare il permesso
a tutti i Paesi mediorientali di riconoscere lo Stato di Israele non
tanto come un’entità morale, (questo è più nelle mani del
palestinesi), ma come entità statuale dotata di confini
riconosciuti. Anche Erez sa che Assad, benché abbandonato dai
sovietici e privato del loro fondamentale know-how, ha tuttavia
seguitato a investire potentemente in carri armati, missili, aerei. E
soprattutto che il suo ego di dittatore al potere dal novembre 1970
è talmente priapistico che nulla potrà tenerlo lontano dal ruolo di
protagonista dell’attuale fase mediorientale, neppure la paura di
Zahal, l’esercito israeliano. La gente cerca disperatamente, se così
si può dire, di farsi una ragione di come anche un nemico così
strenuo come il protettore degli hezbollah, di Ahmed Jibril e di
George Habbash, cioè l’effettivo mandante e padrone delle azioni del
terrorismo internazionale, possa d’un tratto diventare un vecchio
simpatico signore in giacca e cravatta, amico intimo di Clinton. Le
risposte a questa intrigante visione sono di carattere quasi
psicanalitico, come quella di Amos Gilboa, un commentatore militare
del Maariv: Assad è un carattere dominante ma lento, solo oggi
veramente consapevole di quanto i palestinesi gli abbiano rubato il
palcoscenico; pieno d’odio per Arafat, che ha tentato più volte di
far ammazzare senza successo (e quante punizioni in Siria per questi
fallimenti!) e ricolmo di gelosia verso l’Egitto, il Paese arabo più
civilizzato e nel miglior rapporto col padrone unico del mondo,
l’America. Assad dopo un periodo in cui è rimasto spiazzato dalle
novità e ha verificato che il vecchio attrezzo del terrorismo gli
serviva ormai a poco, ha deciso, secondo Gilboa, di rientrare in
grande, e ha ottenuto che Clinton venisse fino a Ginevra. Che
diamine, la Siria è pur sempre un Paese da 600 mila barili di
petrolio al giorno. Clinton è venuto in posizione di debitore, visto
che finora Assad ha evitato di porre il veto al processo di pace, pur
seguitando a terrorizzare libanesi e giordani e tenendo in pugno
l’integralismo islamico. Ora dunque tocca a Clinton farlo entrare di
nuovo in gioco e costringendo gli israeliani a restituirgli il Golan
e fornendogli in proprio un buon aiuto economico. Così gli
israeliani cercano di accettare che cosa sta accadendo. Ma il
tassista ebreo marocchino, il negoziante del marcato di Tel Aviv Shuk
Ha Carmel non sono per niente contenti: perché mai far rientrare in
gioco la Siria proprio ora che è così debole, e priva dei suoi
antichi amici? Perché regalarle il Golan che è vitale per la difesa
di Israele? Che smania è questa che ha preso Clinton e che prenderà
Rabin? Il terrorismo islamico, la vecchia arma di Assad, non resterà
nelle sue mani per sempre, finirà per travolgere anche lui; bene o
male non fu il dittatore siriano quello che sterminò l’intera città
religiosa in rivolta, Hama nel 1982? Eppure proprio ieri ad Alja
Ramuh in Siria, tutte le fazioni ribelli dell’Olp si sono riunite
sotto l’ala di Assad, questo avveniva nel preciso istante in cui
Assad sfoderava al fianco di Clinton quel sorriso da nonnino
affettuoso.
specchio, sospira l’israeliano medio. È dura avere a che fare con
questi gran volponi mediorientali. Fiamma Nirenstein