IL CASO UNO CHOC IN TV Il lutto felice d'un padre
martedì 18 aprile 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV PIÙ grande del possesso della terra, più definitiva del
senso di identità , è in un popolo l'idea della morte. Il sepolcro
definisce la continuità , l'aldilà si proietta nel futuro, il lutto
consente il prosieguo dell'esperienza umana. Così , fra ebrei e
palestinesi, oggi il vero simbolo dell'incomprensione è proprio
l'assoluta incolmabile distanza nel modo di sentire e di celebrare la
morte dei propri cari. Gli israeliani a ogni lutto danno una
rappresentazione disperata: ogni individuo, ogni soldato, specie
quando si tratta di ragazzi, lascia una scia di pubbliche lacrime. La
madri diventano immagini di inesprimibile disperazione; i padri
maschere di pietra; gli amici, le fidanzate singhiozzano abbracciati
anche se indossano la divisa. Sempre ricordano la simpatia,
l'umanità , la pacificità del morto. Il messaggio è : non meritava
di morire così giovane, la sua vitalità era espressione di tutto
ciò che è bello, la vita avrebbe dovuto vincere su tutto. Ieri
invece Israele, sconvolta, ha discusso tutto il giorno la reazione di
Said Falah, padre di Adel Hassan Falah, uno dei tre membri di Izzadim
Kassam, il braccio armato di Hamas, uccisi dalla polizia di confine
israeliana vicino a Hebron alle 9 di mattina in un agguato mentre,
apparentemente, andavano a commettere un attentato armati di
Kalashnikov e mitragliatrici. Said, elegante nella sua camicia
bianca, con i baffi candidi ben sistemati, un volto assai dignitoso,
ha dichiarato alla televisione israeliana:
Iddio. Di che cosa ringrazia Dio un padre che ha appena perso un
figlio di 22 anni? Di che cosa può essere contento?
mio figlio fosse un vero uomo, non un vigliacco. Del fatto che ha
agito come ogni padre desidera che suo figlio agisca. Da oggi in poi,
ogni giorno, chiederò ai quattro figli che mi rimangono perché non
hanno ancora fatto come il loro eroico fratello. Said parla un
ottimo ebraico, e ha precisato che lo sa anche leggere e scrivere.
Conosce bene gli israeliani, dice al giornalista che il suo odio è
ben motivato. È un uomo colto, che è stato un leader marxista. Non
gli sembra almeno strano se non tragico, che suo figlio sia morto nel
nome di Allah? Che cosa vuol dire questo?
stessi quando sarete con lui in paradiso, ha detto il padre ai
giornalisti. Poi è tornato alla sua casa in festa per ricevere gli
amici dopo aver benedetto suo figlio e tutti quelli che seguiranno la
sua strada. Ha invitato gli astanti a mangiare con lui i dolci che
erano stati preparati insieme con
zuccherato e non amaro come si userebbe invece per il lutto. Gli
israeliani, un po' pateticamente, hanno mobilitato i loro esperti,
psicologi e sociologi esperti del mondo arabo, per capire se
veramente questo padre era contento, o se la sua rappresentazione di
forza era unicamente dedicata all'immagine, al mondo. Ma com'è
logico, le risposte sono controverse. Certo non c'è padre che possa
essere contento, come ha detto Falah, di vedere il proprio figlio
morto. Ma è difficile delimitare la zona del comportamento,
dell'eccitazione, e quella del sentimento. E nella cronaca di questi
giorni c'è un altro episodio conturbante: l'incontro, un anno dopo,
fra un bambino palestinese, Abdel Kamal Abu Rabo, e un soldato
israeliano, Amir Faras. Il 6 marzo del '94 il soldato fu fotografato,
mentre coperto da una gragnuola di pietre tirate dal ragazzino,
rifiutava di rispondere al fuoco benché avesse il fucile puntato. Il
pericolo di vita era palese. La foto, lui con le ginocchia piegate e
il mitra imbracciato, e il ragazzino a un metro di distanza che lo
assale, fece il giro del mondo. Adesso, in un dialogo promosso dal
quotidiano Yediot Aharonot in tempo, per così dire, di pace, il
ragazzo ripete al soldato che è stato un vigliacco, un pauroso, che
non ha avuto il coraggio di ucciderlo. Il soldato sorride e non
capisce perché il ragazzo, così carino in quella sua camicia
colorata americana da scugnizzo napoletano, voleva morire; il
ragazzo, invece, non capisce, proprio non capisce perché il soldato
non l'abbia ucciso. Fiamma Nirenstein