IL CASO UN RAID ANNUNCIATO Via al conto alla rovescia
lunedì 22 maggio 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME SCRIVEVA il poeta arabo- israeliano di Nazareth Michel
Hadad che dalla guerra del '67 gli arabi di qui hanno scoperto che la
loro altro non era che . Adesso si
sente il suono profondo e pacato di un gran respiro, da pochi giorni,
da quando i due piccoli partiti arabi che siedono alla Knesset, la
Camera dei deputati di Gerusalemme, con i loro cinque eletti hanno di
fatto bloccato la confisca delle terre gerusalemitane che Rabin aveva
programmato. È vero che è stata la mossa da gambero del Likud a
dare ai due partiti, il Chadash e il Madà , tutto quel potere mai
visto. È stato Benjamin Nethaniau che pur di andare contro il
governo di sinistra si è alleato ai suoi nemici, ha punto gli arabi,
dando via cinicamente le annessioni a cui diceva di tenere tanto. Ma
tutti sanno che la battaglia vera era quella dei due gruppetti, uno
comunista e uno democratico di sinistra, abituati dal 1948 a
battaglie difficili e minimali (per l'acqua, per la scuola, per la
salute, per il danaro) stretti come in una morsa fra la diffidenza
israeliana e la rabbia palestinese, sempre a rimorchio della
sinistra, legati a quel Rabin e a quel Peres cui hanno fatto lo
sgambetto. ha detto un distintissimo studioso arabo a un
amico famoso giornalista
fottervi, sì , lascia che dica questa parolaccia, proprio a fottervi.
Guarda farà un gran bene a tutti quanti, a noi e a voi, ci renderà
più uguali, farà voi un po' più consapevoli del fatto di avere
dentro il Paese una minoranza che nel Duemila conterà un milione e
200 mila anime contro quattro milioni e 200 mila ebrei. Una minoranza
grossa, non vi pare? E voi ci guardate in trasparenza, come fossimo
invisibili. A noi questa vittoria di certo ci farà più israeliani,
ci farà sentire per una volta cittadini con diritti di eguali, e non
ti sembri un paradosso, ci farà più palestinesi. E non
arabi-israeliani, questa invenzione lessicale senza senso. Noi siamo
palestinesi, una minoranza palestinese con cittadinanza israeliana.
Ora che abbiamo finalmente vinto una battaglia anche noi forse vi
vorremo più bene. Ieri, solo due giorni dopo che Rabin si era preso
dai suoi antichi alleati quel gran calcio negli stinchi, ha
abbracciato Abdul Wahab Darawshe, il leader del Partito democratico,
con vero trasporto e di fronte a tutti. In realtà , si dice da parte
degli amici di Rabin, non solo il gran respiro a due polmoni dei
palestinesi-israeliani non dispiace, anzi, è caro a Rabin e a Peres,
e la loro mossa dura li ha tolti da una crisi di coscienza prima
ancora che politica. Ma soprattutto quello che Darawshe e i suoi
amici hanno fanno è stato, con le loro piccole forze, rimettere in
modo l'intero processo di pace. E questo è un gran regalo fatto al
governo. Sembra incredibile, ma almeno simbolicamente se adesso Hafez
Assad ha dato finalmente segno che la Siria è pronta a fare la pace;
se l'Egitto ha in parte abbandonato la martellante campagna
antinucleare che stava a dire: partecipiamo anche noi del malumore
generale contro Israele; se Rabin ha dichiarato che quasi certamente
al primo luglio saranno portati a termine gli accordi relativi al
ritiro dell'esercito dai territori occupati e sarà fissata la data
delle elezioni; tutto questo è stato indirettamente causato dal
congelamento della confisca degli appezzamenti di terra araba a
Gerusalemme. Il mondo arabo è terribilmente sensibile al tema della
leadership, e con esso a quello dell'onore. Anche re Hussein di
Giordania, il miglior amico del Processo di Pace e di Rabin, aveva
fatto sapere al governo israeliano di essere ormai in difficoltà di
fronte alla sua opinione pubblica a causa degli espropri. In
generale, negli ultimi sei mesi, quasi tutti i Paesi con cui erano
stati stabiliti contatti di pace, visto che gli Accordi di Oslo non
andavano avanti, avevano raffreddato le loro relazioni con
Gerusalemme: i rapporti diplomatici col Marocco, appena aperti, hanno
mantenuto un profilo molto basso; l'Oman e il Qatar, nonostante gli
approcci di Rabin, hanno rimandato a tempi migliori la loro amicizia
con Israele; la Tunisia ha messo un alt all'avvio di un'amicizia.
L'Egitto, che cerca sempre l'egemonia del mondo arabo, ha preso la
testa della lotta antinucleare; la Siria, a sua volta desiderosa di
essere il capo del sentimento anti-israeliano, ha mostrato i denti.
Arafat intanto si dava un gran daffare a promuovere il meeting
pan-arabo che avrebbe dovuto svolgersi in Marocco contro l'esproprio
israeliano; e i suoi, a Gerusalemme hanno minacciato di nuovo
l'Intifada. È bastato che gli arabi israeliani vincessero la loro
battaglia, che il summit è stato subito revocato; El Bas, il
consigliere di Mubarak, è venuto in visita in Israele; Rabin e
Arafat hanno stabilito che il 1Ì di luglio è ancora buono per
concludere gli accordi; Assad ha dato grandi segni di apertura. Di
nuovo nessuno vuol perdere il treno della pace. Di nuovo il processo
di pace è di moda in Medio Oriente. Grazie a un pugno di deputati
arabi. Deputati palestinesi. Deputati israeliani. Certo molto più
israeliani di prima, e consapevoli oggi del ruolo che possono
giuocare per la pace. Fiamma Nirenstein