IL CASO UN MITO IN CRISI Periodo nero per l'armata: un generale-mito accusato di aver abbandonato dei feriti L'ira di Rabin: esercito, vergogna Ucc ise per errore due ragazze nel Sud Libano
lunedì 10 luglio 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Non gli ci voleva proprio, adesso, a
Tzahal, l'esercito israeliano, questa ventata di sfiducia, di dubbi,
di punti interrogativi. Non ci voleva, perché alla vigilia della pur
graduale evacuazione dell'esercito dai territori occupati, su cui
questi giorni si mettono d'accordo palestinesi e israeliani si
preparano rifiuto e insubordinazione da parte dei soldati religiosi e
di destra. Già i rabbini stanno tenendo concistori per stabilire se
sia lecito disubbidire all'esercito quando imponga di agire contro la
Torah. E per una parte della gerarchia rabbinica israeliana, non c'è
dubbio che l'ordine di lasciare i Territori su cui Abramo pose il
piede, è un peccato come è stato detto.
E se a un ebreo si ordina di mangiare il maiale, egli ha il dovere
assoluto di disubbidire. Adesso, perché anche ai giovani religiosi
che fanno il servizio di leva nell'esercito sia psicologicamente
accettabile l'obbedienza, ci vorrebbe un esercito sommamente
credibile, autorevole, ammirato come è sempre stato fin dal 1948
l'esercito israeliano, miracoloso, poderoso. Invece non è così :
tanto che Ytzhakh Rabin, sia pure a porte chiuse, nella riunione di
governo di ieri mattina (ma la notizia è volata subito oltre la
porta) ha deplorato ciò che l'esercito aveva combinato il giorno
avanti nel Sud del Libano: un tank, dislocato nella fascia di
sicurezza, ha sparato, a caccia di hezbollah, contro la città di
Nabatiyeh e ha colpito, invece, la casa di Ali Mihanned Dedair, un
cittadino libanese, e ne ha ucciso le due figliolette Silvana di 12
anni e Jihan di 19. Altri tre figli di Dedair sono stati feriti, e vi
sono altri civili colpiti dall'ordigno sparato dagli israeliani; la
televisione di Gerusalemme ha trasmesso durante il telegiornale i
volti coperti di pianto dei cittadini della piccola città . È lecito
all'esercito rispondere alla cieca ai fantasmi di Allah che sparano
katiushe da dietro le montagne? Forse un tempo lo era, ora non lo è
più . Rabin stesso ha detto che l'attacco ai civili non era
necessario né desiderabile. Il capo dello Stato di Israele è anche
ministro della Difesa e il suo atteggiamento peserà non poco su un
esercito che ai confini del Libano si sente sempre più incerto. La
parola del primo ministro-generale può dare una botta decisiva alle
unità dei giovani dislocate lassù , al Nord, sulle colline, dove si
soffre la sorpresa continua delle katiushe degli estremisti islamici
finanziati da Teheran e dalla Siria. E dove ogni giorni si patiscono
i loro agguati sempre più incalzanti: gli hezbollah sono molto più
aggressivi di ieri, più allenati, meglio equipaggiati. E
l'aggressività dell'esercito israeliano, invece, è minata. Tzahal
sa che ogni mossa potrebbe porre degli ostacoli sul difficile
sentiero della possibile pace con i siriani. I politici sorvegliano,
la popolazione vuole protezione, e lo chiede a gran voce. Attaccare,
non attaccare, difendersi con le unghie e con i denti, oppure sperare
che gli hezbollah lascino perdere, vinti dalla Siria e dall'opinione
pubblica internazionale? I dubbi avanzano, e le mosse si fanno più
incerte. Così , i giovani soldati muoiono di più , le famiglie si
fanno sotto in una inusitata protesta. Un altro duro colpo
all'immagine dell'esercito è stato inferto in questi giorni da
un'inchiesta giornalistica di Yediot Aharonot, il giornale più
venduto in Israele: è in discussione una figura indiscutibile, Yehud
Barak, il mite e intelligente ex capo di Stato Maggiore, il primo
generalissimo di Israele che non abbia dovuto ordinare lo stato di
guerra alle sue truppe, ma che nel suo curriculum conta imprese
eccezionali, come un attentato a Beirut contro la sede dell'Olp
travestito da donna. È il generale preferito da Rabin, ed è anche
l'uomo in predicato per diventare ministro degli Interni fra pochi
giorni (il posto è vacante). Nel 1993, in novembre, durante
un'esercitazione nel deserto del Negev, a Tzelim, cinque tra i
soldati più speciali, quelli della Saieret Mathal, l'unità di
combattimento che risponde solo e direttamente al capo supremo,
furono uccisi da un razzo sparato da un ufficiale. All'inizio
l'esercito addirittura negò che Barak fosse presente, ma poi dovette
ammetterlo. Oggi si racconta che l'allora capo di Stato Maggiore, di
fronte al sangue dei suoi ragazzi, non fece altro che montare sul suo
elicottero e andarsene, senza cercare di portare aiuto. È un peccato
mortale per qualunque ufficiale israeliano non pensare prima ai suoi
soldati e poi a se stesso.
gli gridarono dietro i soldati. Questa accusa torna oggi a risuonare
dalle prime pagine dei giornali, e potrebbe costare a Barak un
destino luminoso, quello di un primo ministro che sappia fare la
guerra amando la pace. Si tratta di una manovra per bloccare la
carriera di un personaggio troppo fascinoso politicamente e
intellettualmente? Forse, ma solo in piccola parte. In realtà è ben
più profondo il tarlo che divora Tzahal: è il tarlo della pace, il
bisogno di Israele di sostituire a un inconscio collettivo bellicoso
una nuova forma di cemento ideologico. Fiamma Nirestein
