IL CASO TRA ODIO E SPERANZA Un Paese commosso come ai tempi di Sadat
lunedì 17 marzo 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME SERATA di pioggia e freddo a Gerusalemme. Il Re lascia le
luci della capitale d'Israele dopo un giorno lunghissimo pieno di
lacrime e anche, però , di amore. Risultati concreti ancora non ce ne
sono, ma certo l'aria è più quieta e può darsi persino da quel che
si capisce dalle mezze parole di Netanyahu e di Hussein che anche sul
quartiere di Har Homa ci sarà un rallentamento, un temporeggiare
nell'inizio delle costruzioni che consenta ai due contendenti,
palestinese e israeliano, lanciati l'uno contro l'altro nella
battaglia di Gerusalemme, di frenare. Certo la visita del Re giordano
è un evento nei tempi, nei modi, che non potrà mancare di far
grande effetto anche su Arafat, come sembra averlo fatto su
Netanyahu, che alla fine della giornata tutta passata vicino al Re
appare raddolcito, quasi cambiato.
senza confrontarsi su una base regolare, arabi ed israeliani non
giungeranno mai alla pace, ha detto il primo ministro israeliano.
hanno detto re
Hussein e Bibi. È merito di Hussein se questo accade. Anche se
purtroppo l'incontro che potrebbe perlomeno cambiare lo stile
dell'intero processo di pace ha le sue radici nel sangue di sette
bambine israeliane. Questa visita, che poteva essere un disastro
diplomatico, è stata una gran prova di coraggio e anche di ambizione
del sovrano hascemita. Non si esaurisce mai la sua fantasia che
dimostra davvero che il suo cuore e il suo cervello sanno inventare
ben di più di un brain storm delle più famose teste d'uovo della
politica. È una bomba, un'autentica rimessa in moto del processo di
pace, di quello comunque vero, che matura solo nella coscienza della
gente, quello che ieri il Re giordano ha saputo fare: inginocchiarsi
sul tappeto di fronte alle madri e ai padri, ai nonni e ai fratelli
disperati delle bambine israeliane assassinate giovedì scorso da un
soldato giordano sull'Isola della Pace, abbracciare i genitori seduti
per terra nel lutto ebraico della shi va, i sette giorni in cui gli
ebrei stanno chiusi a casa piangendo e ricevendo i loro cari senza
dedicarsi a nient'altro che all'elaborazione del lutto. Il mondo
arabo, i giordani tutti, ma anche i sauditi, certo gli egiziani,
certo i maghrebini, e forse anche i siriani, hanno visto un grande re
musulmano, con la kefia rossa degli hascemiti, e senza altri
ornamenti, quindi in visita da uomo a uomo, da famiglia a famiglia,
riempirsi di commozione e parlare con dolcezza, mani nelle mani agli
ebrei, agli israeliani nemici di una vita intera. Hussein sempre
parlando sottovoce, in un'intimità corporea del tutto nuova con lo
stesso Bibi Netanyahu, che gli faceva semplicemente da traduttore, ha
chiesto perdono, ha ripetuto la sua (ha detto proprio
così ) e ha ripetuto a ciascuno dei genitori che la loro bambina
ebrea morta era per lui come la sua propria bambina. Lo accompagnava
la giovane figlia, vestita da soldatessa.
dare ai bambini di tutta l'area quella pace che io non ho mai avuto,
ha detto con parole politicamente geniali. Sette scale ha salito, a
sette porte ha bussato, sette famiglie ha abbracciato, come in una
favola araba antica. Il suo mondo è stato sommerso dagli interni
delle case ebraiche, per lo più case tradizionali, perché Beith
Shemesh, il luogo di provenienza delle bambine, è un moshav, una
specie di kibbutz, in prevalenza abitato da ebrei piuttosto poveri,
di origine africana, o immigrati russi. I vecchi hanno lunghe barbe,
le nonne portano i fazzoletti in testa come le nostre contadine, i
poveri genitori tra le lacrime abbracciano tutti gli altri loro
bambini, che li baciano. Pochi mobili e molto semplici, vecchi
tappeti orientali in terra, e sulla porta il pane e il sale
dell'ospitalità che il capo famiglia ha offerto al re. E il re è
venuto con il volto non di un politico, ma di un re antico, uno che
dei suoi sottoposti non tiene conto più di tanto, ma che all'amore,
al respiro caldo della gente ci tiene davvero. All'inizio, quando il
re aveva annunciato la sua visita, alcune delle famiglie delle
bambine assassinate avevano reagito con un diniego; quando però è
stato detto loro che avrebbero potuto dire al re tutto ciò che
volevano, allora hanno accettato. E infine, di fronte all'umiltà di
Hussein, il re inginocchiato, la rabbia contenuta nelle domande che
avrebbero avuto nel cuore si è trasformata in un coro di pace:
. Ed è proprio per
questo, oltre che per un autentico desiderio di fare ammenda, che il
re giordano è venuto in Israele. È uno dei molti gesti che fin da
anni lontani fanno della Giordania un partner di pace diverso da
tutti gli altri: quello che negli Anni Ottanta incontrava
segretamente Peres a Londra, che prima ancora aveva cercato di
avvertire Golda Meir dell'imminente pericolo di guerra, quello che
aveva stretto con Rabin un'amicizia forte e strana, che lo portò a
sorvolare Gerusalemme dialogando per radio con il primo ministro
israeliano quando ancora non aveva stretto la pace che poi lo portò
due anni dopo alla Aravà a firmare la pace alla presenza di Clinton;
e che infine lo ha ispirato quando pronunciò il più vero e più
forte fra tutti i discorsi dei leader del mondo al funerale di Rabin.
È Hussein che ha condotto a buon fine la crisi di Hebron venendo di
persona a Tel Aviv ed è Hussein che adesso ha tentato con la sua
visita di spezzare la terribile tensione che sta portando i
palestinesi e gli israeliani in rotta di collisione sulla terribile,
santissima e dannata questione-Gerusalemme. La sua indubitabile
passione di pace appare forse agli occhi degli israeliani commevente
e genuina come quella del grande , Anwar Sadat; e
si commuovono oggi come avvenne per quella sua visita degli anni '70.
Là per là , l'azione di Hussein sembra trascinare Bibi; forse
imporgli un nuovo rispetto verso il mondo arabo. Adesso, si aspettano
i risultati e le reazioni di Arafat. Fiamma Nirenstein