IL CASO LO SPETTRO DEL GOLFO Tel Aviv, torna l'incubo degli Scud Neta nyahu rassicura ma l'esercito si conta
mercoledì 4 settembre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Un giorno, durante una visita negli Usa, fu
chiesto a Yitzhak Rabin che cosa ne pensasse della sconfitta di
Saddam Hussein dopo la guerra del Golfo. Fra la costernazione
generale, Rabin rispose forte e chiaro:
stato sconfitto. È ancora al potere, ha delle buone armi, ed ha
anche voglia di usarle di nuovo. Rabin, così dicendo, esprimeva la
rabbia, lo sconforto e anche la paura che Israele aveva sofferto per
la guerra del Golfo; la prima guerra vissuta da spettatore inerte dal
1948, di tutte le guerre dell'area, nonostante l'aggressione subita.
In queste ore, di nuovo la rabbia e lo sconforto formano una nuvola
nera e vaga che per ora si vorrebbe far finta di non vedere, ma non
si può . Israele ieri mattina si è svegliata molto malvolentieri
alle notizie di fonte americana, con una gran voglia di scordare il
faccione baffuto e feroce di Saddam Hussein, desiderosa di negare
l'innegabile, cioè quello che dopo molte ore dall'attacco americano
ha detto Raphael Eitan, un ministro del nuovo governo che è stato
anche capo di stato maggiore:
Israele fuori dal conflitto. È una faccenda americana, curda, un
problema davvero lontano da noi... Però , con Saddam Hussein, chi
può dire mai quello che accadrà ? Non c'è nell'area testa più
bizzarra, irrazionale e imprevedibile e il cui odio per Israele non
sia stato meglio accertato. Anche l'altra volta che cosa gliene
veniva dall'attaccare Tel Aviv? Che cosa c'entrava Israele col
Kuwait? Eppure l'ha fatto... Quindi, anche stavolta, meglio stare in
guardia. Quasi tutte le voci ufficiali, tuttavia, sono quiete a
partire da Netanyahu: il primo ministro ha ripetuto che non c'è
motivo di allarmarsi, né di pensare a particolari contromisure.
Anche Dan Shomron, ex capo di stato maggiore ai tempi della guerra
del Golfo, è tranquillo:
coalizione da spaccare, e il contesto internazionale in questi cinque
anni è molto cambiato. E poi, per ora si tratta di una piccola
guerra. Credo che sarà molto più breve dell'altra volta. Ma la
strada, la piazza, sono inquiete. Al mercato, sul taxi o
sull'autobus, si ripensa, si ricordano quei giorni del gennaio e del
febbraio 1991 quando le sirene, continuamente, annunciavano un nuovo
missile sulle città israeliane. Un missile forse carico di veleni
terribili contro cui l'esercito di Israele non stava facendo proprio
nulla. In quelle sere fredde si camminava portandosi sempre a
tracolla il triste ammennicolo della maschera antigas, perché Saddam
anche questo aveva inventato: risollevare nell'inconscio collettivo
degli ebrei l'idea che si potesse morire gasati in Israele come in
una camera a gas, senza alzare un dito per difendersi.
al macello. Il primo ministro Yitzhak Shamir si teneva la testa fra
le mani, era sempre più corrucciato. Moshe Arens, il ministro degli
Esteri, trattava incessantemente con gli americani la possibilità
che la parte israeliana compisse almeno un gesto simbolico contro
Saddam: ma non ottenne nulla. Se Israele fosse entrata nel conflitto
avrebbe dato fuoco a tutto il Medio Oriente, la maggior parte degli
alleati arabi degli americani si sarebbero trovati automaticamente
scagliati dalla parte di Saddam, quella anti-israeliana. Fu questo
choc che portò probabilmente Israele a capire che la pace era la
sola via per non trovarsi intrappolata in conflitti insolubili,
inaffrontabili con la forza o con la diplomazia. Un giocattolo in
mani altrui. I palestinesi felici saltavano sui tetti, invocando i
missili di Saddam. Re Hussein di Giordania, spaventato dalla
vicinanza dell'aggressore del Kuwait, con cui confina, era a sua
volta alleato dell'uomo contro cui Israele non aveva da opporre altro
che i Patriot americani giunti in ritardo e poco efficienti. Eppure
ieri si è tornati a dargli un'occhiata: sono sempre in funzione,
vanno sempre bene? E Saddam, possiede ancora i missili per arrivare a
colpire Israele? Tutte e tre le risposte a queste domande sono
positive: Roni Daniel, il commentatore di cose militari della tv
israeliana, Canale 2, sostiene che Saddam, se vuole, può . Tutto sta
a sapere che cosa vuole veramente, e quanto Israele oggi è presente
nella sua mente. Il capo di stato maggiore Amnon Lipkin Shakach
ripete e ripete che non c'è nessun motivo di stare in guardia, però
si sa che l'esercito sta contandosi e si dispone ad ogni
eventualità . Certo è che stavolta Israele non ha nessun motivo, nel
caso fosse attaccata, di trattenersi dal rispondere: anzi,
probabilmente la sua risposta sarebbe una specie di furiosa lezione
contro il terrorismo internazionale. Netanyahu non avrebbe nessuno
scrupolo a tirare uno schiaffo a Saddam Hussein. E questo il
dittatore dell'Iraq lo sa bene. Perciò per ora l'unico a minacciare
con le parole Israele è Latif Rashid, uno dei capi curdi, che ha
parlato da Londra. Né palestinesi né giordani, il cui destino
economico e politico è ormai troppo intrecciato ai destini del
processo di pace, possono più danzare sui tetti e contrapporsi alle
scelte americane. La paura, piuttosto, si trova fra la gente, nel
suk, al mercato, dove lo spauracchio dell'aggressività araba si
sente molto forte e alcune donne fanno provviste come quando si
rischiava, nel '91, di restare tante ore chiusi nei bunker fatti in
casa. Tutti si chiedono dov'è finita la maschera antigas degli anni
scorsi. Fiamma Nirenstein
