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IL CASO LA TRIBÙ DIMENTICATA Quei fratelli ebrei con la pelle scura

lunedì 29 gennaio 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME CHE degli ebrei dovessero sfilare per le strade di Gerusalemme con cartelli che dicono , che la polizia di Stato dovesse reagire violentemente alla loro rabbia, chi l'avrebbe mai detto? Ci voleva la pelle nera perché questo potesse avvenire in Israele, il Paese, per eccellenza, dell'assorbimento, il Paese costruito da ondate successive di immigrazioni così diverse l'una dall'altra, così protese a integrarsi nel sogno di uno Stato degli ebrei. La passione con cui Israele ha portato in patria circa 30 mila ebrei etiopi è una proverbiale storia di solidarietà e di fedeltà . Quelli, gli ebrei fra i più antichi, i sudditi originari della regina di Saba ai tempi del re Salomone, rimasti commoventemente fedeli alla Torah, cioè alla Bibbia, ma del tutto inconsapevoli del Talmud, il suo commentario scritto in secoli di studi cui gli ebrei neri non avevano partecipato. E quindi, ebrei con riti diversi, semplificati, eppure cristallini nella loro fedeltà alla religione di Abramo e di Mosè , che da Addis Abeba mandavano di quando in quando un cavaliere a Gerusalemme per vedere se per caso il Messia fosse arrivato, se si poteva pensare di tornare a casa. Quando per loro la situazione si è fatta critica, Israele non ha esitato: pare che 35 milioni di dollari siano stati spesi per pagare a Menghistu la ricompensa per lasciar partire quegli uomini magri, alti, biancovestiti, che la notte, nel novembre 1984, si assembravano all'aeroporto per stiparsi sugli aerei di Israele che li portavano alla casa sognata per duemila anni. L'operazione Mosè , così si chiamò , si concluse dopo che ottomila avevano raggiunto Israele, a causa della fuga di notizie. Una seconda ondata volò con l'operazione Salomone, durante la quale in 36 ore furono trasportati 18 mila ebrei etiopi. Giunsero pieni di antica dignità , del tutto ignari della modernità più elementare. I rubinetti, le penne a sfera, la televisione, tutto fu per loro una magia. Quelli che non poterono subito partire, raggiunsero i propri cari in Israele camminando per centinaia e centinaia di chilometri, fermandosi nei campi profughi del Sudan, finché il Sudan non impedì quest'emigrazione. Israele li accolse con un abbraccio straordinario, pieno di calore. Poi negli anni sorse la doppia difficoltà dell'integrazione che s'intrecciava con l'accoglienza alla marea di russi, molto più potenti, organizzati, ed esigenti, e la difficoltà della pelle nera. altro ebreo, a quello di qualsiasi altro essere umano. Siamo discriminati perché siamo neri protestano oggi, con le lacrime nella voce, pieni di una delusione incurabile, gli etiopi. È un grido di rabbia che già nel passato, sia pure in forma diversa, si è sentito da parte degli ebrei provenienti dai Paesi arabi. È una lunga rivolta contro una leadership bianca, ashkenazita, proveniente dall'emisfero settentrionale del mondo. Questa leadership, un po' come quella americana degli Anni Sessanta, ha creduto tuttavia con tutta se stessa all'integrazione. Ha pensato, con grande onnipotenza, di superare d'un balzo i problemi dell'immigrazione, delle differenze, della lingua, della miseria, dei pregiudizi. Israele dispone di una formidabile esperienza per questo. Epperò , non è bastato. Israele non ce l'ha fatta; vero o falso che sia che nel problema specifico del rifiuto del sangue degli etiopi c'entri una componente razziale, gli etiopi tuttavia lo avvertono, e questo proviene da difficoltà più generali. Specie in tempo di pace, e superati i momenti di pericolo, Israele resta un Paese occidentale in cui si sfiorano, si toccano, confliggono pezzi di mondo, quello avanzato e il Terzo Mondo, il cui storico antagonismo non riesce a morire, a dispetto dell'amore che gli ebrei, per certo, si sono dimostrati gli uni agli altri. Neppure è una parola magica. Fiamma Nirenstein

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