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IL CASO LA SVOLTA DEL VATICANO La sconfitta del nemico interno Un mea culpa tra omissioni e aperture

domenica 15 marzo 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IL Muro di Berlino era solido, fatto di mattoni. Il Papa polacco seppe convogliare tutte le forze della cristianità romana per dargli una poderosa spallata, e il Muro venne giù . Il primo grande sogno era stato soddisfatto. Qui invece il muro dell'antisemitismo è frastagliato, invisibile. Ci vorrà tanto tempo prima che crolli del tutto nei cuori e nelle coscienze. Ma bisognerebbe essere ciechi per non vedere che il documento vaticano realizza un altro grandioso sogno di Giovanni Paolo II: porre fine alla maggiore sconfitta etica della Chiesa, stavolta non un nemico esterno ma un potente nemico interno, lungo nel passo come i millenni, penetrante e tanto pervasivo da essere a volte capace di acquistare una sua autonomia operativa e teorica, come un Golem fuggito al controllo. L'antisemitismo era ed è l'altro nemico giurato, oltre al comunismo, della biografia polacca del Papa, e contro ambedue Giovanni Paolo ha costruito strategie corrosive e sostanzialmente vittoriose per il prossimo millennio. Anche se qualcuno vi ha letto un tentativo di impossessarsi del lutto per la shoah ebraica, invece la strada comincia proprio dalla visita ad Auschwitz nel 1979, in cui il campo di concentramento fu definito "il Golgota del nostro secolo". Poi, nell'86, il Papa fu il primo Sommo Pontefice ad entrare in una sinagoga. E anche qui il discorso sui "fratelli maggiori" talvolta fu interpretato come teologicamente prevaricatorio; era invece, di certo, nei tempi lunghi, una pugnalata storica al pregiudizio. Anzi qui è forse il caso di dire una forte parola di apprezzamento per la lungimiranza del rabbino Elio Toaff che lo capì appieno nonostante tante critiche interne al mondo ebraico, ancora ancorato al risentimento e allo schema di un indelebile scontro delle forze del male contro quelle del bene, incurabile nell'eternità . Poi, anticipata dalle scuse dei vescovi di Germania, Polonia, Ungheria (cui ora si sono aggiunti quelli francesi) ci fu la promessa ai leader ebrei a Miami nel 1987. E, gesto di gran lunga più significativo sulla strada del documento che esce domani, il riconoscimento dello Stato di Israele nel '94. Era la mossa più difficile, data la presenza sempre minacciata di 10 milioni di arabi cristiani nel cuore del mondo musulmano; ma certo, quello più concreto e più solido, più rivolto verso gli ebrei, per dimostrare a loro stessi e al mondo che la Chiesa crede finalmente nel loro diritto ad esistere in quanto tali nella Terra dei loro padri, e che non li ritiene degli esseri umani dimidiati o peggio, dei traditori, perché non hanno creduto nel Cristo come messia. Più o meno si sa che cosa è contenuto nel documento che vedrà la luce domani. Secondo il Papa, non è stata la Chiesa a promuovere l'antisemitismo, anzi, l'antigiudaismo, che si distingue dal primo poiché il primo ha una connotazione razziale, e il secondo una connotazione religiosa. E non è stato l'antigiudaismo l'incubatrice dell'antisemitismo nazista. Il fallimento morale del cristianesimo durante il nazismo, sempre secondo il Papa, è stato più legato alla passività dei cristiani che al loro coinvolgimento attivo. Il Papa ha anche sempre sottolineato che molti cattolici hanno rischiato la loro vita per salvare quella degli ebrei, e anche che Pio XII tacque, non intervenne al salvataggio degli ebrei, per paura di compromettere le vite di tanti cattolici. Sempre Giovanni Paolo ha annunciato quindi che da lui non uscirà mai un giudizio negativo contro il suo predecessore degli anni di guerra. Questi punti non mancheranno di deludere gli ebrei, e in parte per buone ragioni: secoli di "perfidi judei" hanno definito molto più di qualsiasi specifica teoria razziale le caratteristiche malefiche, complottarde, avide, in base alle quali si definisce anche l'intero antisemitismo razzista. La base è nella visione dell'ebreo come della più bassa delle creature non a causa della forma del suo cranio, o del suo naso, ma a causa del tradimento di Gesù . Il resto viene di conseguenza. Non è certo un caso se ancora nel 1843, quando la tendenza europea era generalmente quella di aprire le porte dei ghetti e di concedere la parità agli ebrei, il Sant'Uffizio emanava un editto che proibiva ogni contatto fra ebrei e cristiani, impediva agli ebrei di possedere alcunché , invitava a rafforzare la divisione sociale. Queste sono misure razzial-sociali, anche se hanno motivazioni in origine teologiche. Sì , certo il Papa avrebbe potuto dire di più , attribuire alla radice del cristianesimo che alla ricerca della sua primogenitura non può accettare la permanenza dell'ebraismo, la tragedia dell'antisemitismo. Ma questo è un modo di ragionare molto laico. Il Papa compie invece una grande operazione di cura dell'Europa cristiana nel momento in cui riconosce le sue colpe, almeno alla maniera in cui è logico che il Vaticano lo faccia, ovvero con le parole che usa di solito, parole caute, talvolta reticenti, tendenzialmente ecumeniche e tese al recupero dei colpevoli. Così fa la Chiesa, così ha sempre fatto, è assurdo chiedere che si muova diversamente. Fiamma Nirenstein

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