IL CASO LA RISOLUZIONE DEL 1947 Ordine dal Palazzo di Vetro "Una terr a e due Stati"
domenica 30 novembre 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
IL 29 novembre 1947, esattamente cinquant'anni fa, David Ben Gurion
appariva ancora più leonino e intrattabile del solito; cercava
infatti la solitudine, mentre aspettava la risoluzione dell'Onu che
avrebbe stabilito per il nuovo Stato degli ebrei la vita o la morte
attraverso la partizione. Le strade di Tel Aviv e di Gerusalemme,
invece, erano colme di cittadini che si fiancheggiavano l'un
l'altro facendosi coraggio nell'attesa.
A New York, all'Onu, nel primo pomeriggio si apprestavano a votare
56 uomini che rappresentavano le nazioni di tutto il mondo. Il
presidente dell'assemblea era il brasiliano Oswaldo Aranha, che uno
a uno chiamò per nome i singoli Stati. Alla fine la risoluzione
della partizione della Palestina passò con 33 voti favorevoli, fra
cui gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica; 13 contrari e 10 astenuti
tra cui la Gran Bretagna. Essa infatti, secondo la politica
intrapresa dal ministro degli Esteri, Ernst Bevin, cercava di
mantenere un atteggiamento al di sopra delle parti. L'Inghilterra
ammainava così l'Union Jack dopo solo trent'anni di protettorato
britannico, seguiti a 400 anni di dominio turco sulla Palestina.
I centomila militari di stanza in Palestina non potevano nulla
contro la marea della storia che trascinava sulle spiagge di Haifa,
nonostante la quota di 13 mila ammissioni l'anno, la marea della
disperazione ebraica dopo la Shoah. "Gli arabi hanno un vastissimo
territorio per loro", disse Ben Gurion a quell'epoca, "gli ebrei
sono un piccolo focolare nazionale. Gli arabi non sono profughi o
dispersi, mentre per gli ebrei la mancanza di patria è la vera
radice di tutte le sofferenze subite nel loro lungo passato".
D'altra parte, come disse Henry Cattan, un alto dignitario
palestinese: "Gli ebrei reclamano la Palestina dicendo che più di
2 mila anni fa essi vi avevano il loro regno; se questo fosse un
punto su cui si potessero costruire istanze territoriali nazionali,
si avrebbe un terremoto nella dislocazione dei popoli di tutto il
mondo".
Mentre gli inglesi senza troppi rimpianti preparavano le loro
truppe a ritirarsi, nelle strade di Tel Aviv e di Gerusalemme la
gente ballava e cantava. Intanto nell'appartamento newyorkese di
Nahum Goldmann, presidente del Congresso Sionista Mondiale,
giungeva il grande vecchio della politica sionista per brindare:
fra gli applausi di tutti, fece il suo ingresso Chaim Weitzman,
colui che a suo tempo aveva convinto gli inglesi a firmare la
Dichiarazione Balfour che prometteva agli ebrei un focolaio
nazionale. Tutto il giorno era stato nascosto per non mostrare la
sua emozione, la sua paura. Adesso sedeva in una grande poltrona,
con un'aria esausta e sorridente. Lui e Moshé Sharett, prossimo
ministro degli Esteri israeliano, avevano di fatto costretto il
Presidente americano Henry Truman ad appoggiare le richieste
ebraiche e a concedere anche il deserto del Negev a Israele: "Mi
ricordo che Weitzman sembrava un re sul trono", ricorda un delegato
israeliano, Gideon Rafael.
La partizione è di terribile attualità ancora oggi: come dice
Abba Eban, che è stato ministro degli Esteri in Israele e che
allora era membro della delegazione all'Onu, dette i suoi frutti,
"in quel caso, il grande senso di moderazione ebraica, la volontà
di riconoscere i diritti dell'interlocutore palestinese in modo
specifico e chiaro, di dar voce anche alle aspirazioni palestinesi
ad uno Stato nazionale".
Nel gennaio del '47 una riunione speciale dell'Onu richiesta
dall'Inghilterra, che non riusciva più a dominare l'afflusso
ebraico e anche soffriva gli scontri terribili fra arabi e ebrei,
nonché gli attacchi delle organizzazioni ebraiche clandestine alla
struttura inglese stessa, nominò una commissione speciale formata
da undici Stati che avrebbero dovuto visitare l'area e poi
suggerire all'Onu quale strada intraprendere: la commissione fu
detta Unscop. Gli ebrei volevano un loro Stato. Dato che il loro
afflusso era stato contenuto dagli inglesi, erano circa 600 mila.
All'Università di Gerusalemme, presso il suo presidente prof.
Judah Magnes, la commissione trovò una proposta per uno Stato
binazionale "non appena agli ebrei fosse stato consentito di
raggiungere lo stesso numero di abitanti dei palestinesi"; dalla
clandestinità Menachem Begin fece sapere all'Unscop che era
assolutamente contro ogni forma di condivisione del potere. In
definitiva la Commissione Unscop indicò a maggioranza che era
raccomandabile una spartizione territoriale fra due Stati, di cui
quello ebraico avrebbe goduto di 14.200 chilometri quadrati. Se si
pensa che dopo la guerra del '48 Israele si trovò in possesso di
20.700 chilometri quadrati, ancora una volta se ne trae una lezione
dalla storia sulla moderazione e l'accettazione.
E invece il rifiuto arabo, che negli anni ha seguitato a
riproporsi, non aiutò in quel caso i palestinesi. I confini
segnati dalla Commissione avrebbero incluso, infatti, per i
palestinesi, la Galilea occidentale, la West Bank e la striscia
della costa fra Ashod e il confine egiziano... La risoluzione
raccomandava anche che i proventi delle tasse doganali fossero
distribuiti parimenti fra palestinesi e Israele e che comunque i
palestinesi fossero aiutati dal punto di vista economico dalla
comunità internazionale "a vantaggio della tranquillità di tutta
l'area". Gerusalemme era prevista come un "corpus separatum"
neutrale che ponesse la capitale e anche Betlemme sotto la tutela
internazionale.
Dice lo storico Shlomo Avineri che Israele potè godere di quel
brevissimo momento che sta fra la guerra mondiale e la guerra
fredda, un minuto prima della guerra di Corea e del blocco di
Berlino. Andrej Gromyko se ne uscì all'Assemblea con una presa di
posizione durissima a favore degli ebrei, sostenendo che con tutto
quello che avevano passato, essi avevano il diritto finalmente ad
uno Stato nazionale indipendente.
"Io credo - dice Rafael - che fosse sincero in quel momento, che
sentisse una specie di solidarietà nella sofferenza per aver
perso, come russo, 20 milioni di uomini nella guerra mondiale".
Ormai, oggi, il principio di spartire il territorio è passato:
ancora una volta fu Anwar Sadat ad aprire la strada nel mondo arabo
sostenendo l'autonomia dei palestinesi, una scelta che a suo tempo
rese l'Egitto inviso al resto del mondo arabo. Più tardi ci
arrivò anche l'Olp che aveva respinto l'idea di due Stati e due
nazioni. "Ora - dice Avineri - siamo più o meno allo stesso punto.
La comunità internazionale sta dalla parte d'Israele purché esso
sia disposto a spartire il territorio. In cambio di questo gli
promette sostegno e sicurezza. Come nel '47, dunque, il sostegno è
legato alla volontà ebraica di essere ragionevolmente disposti a
concedere". Quanto al mondo arabo, anche oggi la sua possibilità
di conquistare uno Stato palestinese è legato alla rinuncia di
spazzar via lo Stato ebraico.
Fiamma Nirenstein
