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IL CASO LA GUERRA SPORCA Il terrore e la legge Un insolubile dilemma per Rabin

sabato 29 aprile 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV BRUTTO film quello che si è svolto in una cella situata dentro il Russian Compound, nella questura di Gerusalemme, sotto le cupole della Chiesa Ortodossa. Intorno Gerusalemme, viva e percorsa da migliaia di flussi d'informazione; a pochi metri si trova un centro stampa fra i più frequentati nel mondo da giornalisti di tutte le testate; non lontano un tribunale centro di un sistema giudiziario perfezionista, fremente, in cui il Controllore dello Stato, l'ombudsman e la Corte Suprema cavillano, deliberano, mettono in piazza ogni singola istanza di giustizia. E poi, a dieci minuti, la Knesset, un Parlamento in cui governo e opposizione si scontrano ogni giorno sotto gli occhi di una popolazione in cui ciascun individuo s'impunta per ogni minimo, singolo diritto. Eppure dietro quel muro è accaduto qualcosa di primordiale, di contrario a ogni principio democratico. Gli uomini dello Shabbach, ovvero lo Shin Beth, i servizi segreti dell'Interno (l'omologo per i Territori Occupati di ciò che il Mossad è per il mondo esterno) dopo un interrogatorio infruttuoso hanno piazzato un uomo di Hamas che non voleva parlare nelle mani di altri palestinesi come lui, gente però con un passato di collaborazionisti e un presente non pulito dal punto di vista del codice penale. Quanto questi uomini potessero odiare Abd a-Samed Hassan Hrizat, un membro attivo e di certo accanitamente estremista delle cellule terroriste di Hebron, una fra le più feroci, lo si può capire ripercorrendo con la memoria le foto delle mutilazioni e delle uccisioni truculente inferte dal mondo islamico duro e puro della rivoluzione ai palestinesi scoperti a (o sospettati di) collaborare con l'odiato invasore, Israele. I tre compagni di cella non avevano l'ordine di uccidere, ma il permesso di lasciare Harizat svenuto sul terreno. Ciò che hanno fatto calcando alquanto la mano. La questione ora brucia nei notiziari e nelle discussioni fra gli israeliani. Quanto può un Paese nato solo nel 1948, subito dopo la tragica esperienza degli ebrei d'Europa, che ha messo la democrazia al primo posto del suo programma storico, usare le armi della violenza? Quanto l'estremo, indubbio pericolo che Hamas rappresenta non solo per Israele ma anche per il processo di pace, giustifica la tortura? Se è vero come afferma lo Shabbach che l'uomo era in possesso di segreti i quali, rivelati, avrebbero potuto evitare un grave attentato ritenuto imminente e già in via di realizzazione, questo giustifica la pressione fisica, anche se non, certamente, la morte? Israele ha sempre avuto rispetto a questa questione un doppio regime, come del resto tutte le democrazie. Anche De Gaulle, di fronte al pericolo che l'Oas rappresentava per la Francia, ordinò un trattamento a base di omicidi e di botte; la Germania federale non fece di meglio con i terroristi della Raf in carcere; quanto a noi, ancora non è chiarito il mistero della morte di Pinelli, per esempio. Israele, che nel 1987 fronteggiò un evento analogo a quello di questi giorni, ovvero la morte in circostanze misteriose di due terroristi palestinesi, non si differenzia dalle altre democrazie quanto a reazioni: la stampa, le opposizioni politiche, le organizzazioni umanitarie, le strutture giudiziarie, tutti stanno intervenendo quanto e come è necessario. Appunto nell'87, a seguito dello scandalo, la commissione con a capo il giudice Landau stabilì un regolamento, per quanto aleatorio e non chiarissimo, che permetteva che sui prigionieri si agisse solo con . Ciò che fa di Israele un Paese particolare è il fatto che si tratta di una democrazia in guerra, l'unica al mondo se si eccettuano le guerre locali e comunque fuori del territorio nazionale degli Stati Uniti. Inoltre i Paesi con cui Israele è in guerra fanno un uso continuo di sistemi di eliminazione fisica e di violazione di diritti civili costanti nei confronti delle loro opposizioni; non solo, la guerra contro Israele è al giorno d'oggi una guerra che si compie quasi esclusivamente con i metodi di un terrorismo suicida, che non teme la morte, e quindi impossibile da abbattere nel farsi dell'azione stessa. Più facile semmai prendere gli autori degli attentati mentre li preparano. Lo Shabbach da quando il suo nemico non è più l'Intifada ma il terrorismo soffre di una terribile crisi teorica e di azione: infiltrarsi nei Territori è diventato quasi impossibile. Israele di continuo discute sui giornali delle sue strategie. L'uccisione di Hrizat ne è il segno, e porterà probabilmente a una revisione ulteriore (molti rifacimenti sono peraltro in corso) del significato stesso dello Shin Bet, del suo modo d'agire. Ma può Israele usare solo le delicate armi della democrazia contro nemici come Hamas e la Jihad islamica? Il buon senso, per quanto questo dispiaccia, dice di no. Rabin si trova di fronte a un'ennesima, impossibile sfida. Fiamma Nirenstein

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