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IL CASO L’ESERCITO IN CRISI La storia del soldato Gil israeliano ucci so dalla pace

venerdì 25 novembre 1994 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME QUANDO il giornalista David Regev, venerdì 11, giunse all’incrocio di Netzarim, nel cuore di Gaza, il sangue del terrorista che aveva pedalato carico di tritolo fino alla postazione israeliana e quello dei tre soldati delle Riserve era ancora mescolato insieme nella polvere. Un altro soldato del gruppo, Gil Dadon, era seduto da una parte, con la testa fra le mani: assente al giornalista - solo perché sono arrivato in ritardo per il turno di guardia. Sono arrivato a Netzarim solo da due giorni; mia moglie, mio figlio di due anni, il mio lavoro... Tutto a Tel Aviv. E qui, guardi che accoglienza. Non so che cosa ci aspetta. Spero solo di avere la forza di resistere. Una settimana più tardi, proprio a quello stesso incrocio ornato di rudimentali torrette di cemento che proteggono l’insediamento di Netzarim, Gil Dadon moriva per i colpi di arma da fuoco di un altro commando terrorista. Morire di Miluim, il servizio di riserva che si compie un mese l’anno fino all’età di 50 anni, è un brutto scherzo; morire di Miluim durante il processo di pace, in una nuova guerra contro un nemico che ancora nessuno sa combattere, è anche uno strano, bizzarro scherzo della sorte. Il padre di Gil Dadon si chiama Eli: non è un uomo qualunque, è un mito vivente. Lui e la sua motocicletta sono il terrore dei malviventi di Tel Aviv, soprattutto dei trafficanti di droga. Eli è un duro che se ne andò dal servizio della polizia di Stato nel 1980, quando pensò che le motivazioni morali della polizia non erano abbastanza rigorose. Quando gli hanno sotterrato il corpo del figlio nella sezione militare del cimitero di Kiriat Shaul, Eli non ha lasciato che le consuete parole del lutto per un soldato d’Israele, per la sua grande bravura, per il suo eroismo riempissero l’aria. giovani come mio figlio - ha gridato - sono divenuti carne da cannone da quando la politica ha preso il sopravvento sull’esercito. Gli avevo detto: non dare retta figlio, spara se devi sparare. Non pensare al capo di Stato Maggiore che ormai è tutto preso dalla sua prossima posizione politica. Cerca solo di non tornare da tua madre in una bara. La voce di Eli Dadon è diventata un boato, ha avuto una grande, tragica eco in tutto il Paese. Un compagno di Miluim di Gil ha telefonato alla radio: - ha detto - ma si deve sapere che è inutile stare di guardia, specie in un punto così pericoloso, se è proibito tenere il colpo in canna, è proibito sparare se il nemico non spara per primo; è inutile, se bisogna abbandonare il posto di guardia quando una folla di più di dieci persone si avvicina, se ti manifesta contro, se grida slogan. È inutile se è proibito frugare una macchina palestinese quando la polizia palestinese può farlo a sua volta... Chissà se è giusto restare là , a fronteggiare un nemico invisibile carico di tritolo per difendere Netzarim, un insediamento piantato in mezzo a Gaza. Forse è un capriccio. Forse è indispensabile, va bene, ma allora ditelo con forza. Non chiedeteci di non sparare, di scappare di fronte a palestinesi infuriati, di non sparare... Diteci una cosa chiara. La demotivazione si paga con la vita. Che cosa stiamo facendo? La pace? La guerra?. Gil Dadon aveva gli stessi ordini che avevano i tre soldati morti nell’identico attacco precedente; è morto della stessa morte. Un mese prima, in Libano, un commando di Hezbollah aveva filmato e poi recapitato alla tv israeliana il videotape di un loro vittorioso attacco contro i soldati di Tsahal. I ragazzi dell’esercito israeliano avevano preferito ritirarsi piuttosto che morire, o anche, piuttosto che uccidere. Perché Israele ormai sente, sia pure in modo controverso, che adesso non è più tanto il tempo di morire e di uccidere quanto quello di affrontare il processo di pace. E non sa ancora bene come attrezzarsi a farlo; e anche non sa ancora affrontare la nuova guerra, quella con la Jihad. Conosce solo quella con l’Intifada. Gil Dadon aveva chiamato suo figlio Jordan, in onore del processo di pace. Un tempo ai bambini si dava il nome Moshe, in onore del generale Moshe Dayan. Fiamma Nirenstein

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