IL CASO ISRAELE LACERATO Per imporre il Sabato ebraico alla capitale laica La marcia dei rabbini sull' Tel Aviv
sabato 7 dicembre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV È stata una specie di invasione degli ultracorpi, un incubo
subitaneo e inaspettato: nerovestiti, a decine di migliaia, con
barbe, cappelli duri, e riccioli laterali, i religiosi sono calati su
Tel Aviv, la città che non dorme mai, la città che incessantemente
pecca per la sua promiscuità , il suo affarismo, i suoi neon sempre
accesi e la sua energetica sfida all'aspetto religioso dello Stato
ebraico. La città che non si ferma mai, neppure di sabato. E questo
è stato, appunto, il motivo della calata in massa, con i torpedoni,
e un po' di cibo e bevande cosher degli Hassidim, i fedeli vestiti
come ebrei del Medio Evo nei ghetti europei, al grande Salone delle
Mostre di Tel Aviv. Eccoli che vengono a restaurare il santo sabato,
fanciulleschi e prepotenti come è nella natura di tutti i credenti
duri, con quelle facce pallide di preghiera, segnate dalla povertà ,
dall'alimentazione misera, innamorati pazzi dei loro capi, specie del
grande rabbino Ovadia Yossef che arriva con la sua veste nera e
d'oro. Siedono in file d'altri tempi, file in bianco e nero. Le donne
non esistono perché questo è un dedicato, appunto,
al Sabato. Ci sono oratori che descrivono Tel Aviv con i suoi negozi
aperti di sabato, con i russi e i romeni pagati dal Comune per
lavorare nelle strade proprio nel giorno santo, con i caffè e i
cinema pieni di gente, con i commerci frenetici sulla riva del mare,
i McDonald, le sale da ballo nelle lunghe notti del venerdì sera, i
baretti dei pescatori, il pesce e il vino bianco. Tutto vero, solo
che le conseguenze che i religiosi ne traggono sono terribili,
apocalittiche:
perché si è posto fuori del suo proprio popolo. Così condanna il
rabbino capo Ovadia Yossef. E il Rebbe Vizhnitz (una setta religiosa)
Moshe Hagger quasi piange:
cinquant'anni, ma mai, dico mai, ho visto un declino spirituale come
quello degli ultimi anni. Per questi ebrei di Tel Aviv, e ormai di
tante altre parti d'Israele, Shabbath è diventato sinonimo di andare
al mare. Il rabbino capo ashkenazita Ysrael Lau, una figura un po'
più conciliante, cerca di spiegare la bellezza dello Shabbath
rivolgendosi soprattutto : parla,
Lau, della grande, meravigliosa invenzione ebraica di delimitare il
tempo che è di per sé infinito, dedicandone una parte allo spirito.
Cerca di descrivere la gioia del silenzio del sabato, dell'abbandono
delle attività mondane e degli affari, il piacere della vita
familiare, della riflessione, della lettura. Cerca di spiegare, Lau,
ma la sua voce piana, tesa a convincere, non è così bene accolta
dal pubblico bianco e nero, non è così osannata come le voci
apocalittiche e soprattutto politicamente decise, aggressive,
consapevoli della nuova forza che hanno i religiosi, ormai, con i
loro ventiquattro seggi in Parlamento e con tutti i fuochi che hanno
acceso attraverso battaglie tese tutte quante a misurare il loro
potere. Mai, infatti, prima, i religiosi avevano ingaggiato uno
scontro frontale con l'Alta Corte di Giustizia cui hanno indirizzato
anatemi mortali sul corso della guerra per Rehov Bari Lan, la via che
ora i religiosi di Gerusalemme possono tenere chiusa al traffico
nelle ore di preghiera. Mai avevano costretto alla chiusura una
scuola laica in uno dei loro quartieri, com'è accaduto in questi
giorni alla scuola Adam nella zona di Mahanei Yehuda di Gerusalemme a
forza di perseguitare addirittura i bambini, gridando loro
e . Mai avevano aggredito per strada le donne vestite,
secondo loro, in maniera immodesta, con botte e sputi, com'è
accaduto addirittura nel parcheggio del comune di Gerusalemme. È
bene che vadano un po' a Tel Aviv, dice un gerosolomitano
assaggiare anche a loro il gusto di questa amarissima spaccatura che
rischia di portarci alla guerra civile. Il sindaco di Tel Aviv,
Ronni Milò , che pure appartiene al partito conservatore, il Likud,
ha fatto un muro d'acciaio contro i religiosi:
città di antica tolleranza, di reciproca comprensione fra ebrei e
arabi, fra sinistra e destra, religiosi e laici. Chi cercherà
d'imporre a Tel Aviv i costumi di Gerusalemme, si troverà di fronte
un'opinione pubblica determinata a non farsi rovinare la vita, a
vivere e a lasciar vivere, e riuscirà solo, semmai, a suscitare una
profonda ostilità antireligiosa. Tel Aviv e Gerusalemme, ormai,
sono dunque esplicitamente definite capitali di due Stati diversi
all'interno dello Stato d'Israele:
qui, seguitano a ripetere in queste ore di dibattito sui giornali,
alla televisione e alla radio, attori, politici e giornalisti che
ritengono Tel Aviv la loro vera e ormai unica patria.
trovarci - ironicamente invita Ygal Sarna dalla prima pagina di
"Yediot Aharonot" - così avranno modo d'imparare finalmente
qualcosa, e potranno magari cambiare idea, forse cambiare vita. I
religiosi rispondono con parole di disprezzo contro quel mondo vuoto
e consumista che non sa più che cos'è , da dove viene, in che
consiste.
Porush - faremo qualunque cosa perché si smetta di dissacrare il
sabato. Tel Aviv è solo il primo passo. Saremo ovunque si violi il
giorno santo. Fiamma Nirenstein