IL CASO I VOLTI DELLA STORIA "Nella festa d'Israele celebrato l'Olp" Choc per un programma tv sulle ragioni del "nemico"
martedì 7 aprile 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
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C'è stato un momento in cui il telespettatore israeliano, domenica
sera, ha avuto la sensazione di guardare la televisione a Gaza, o
persino a Damasco: è stato durante l'ultima scena della puntata di
Tkuma (in ebraico Rinascita, 22 segmenti di storia per
celebrare sul canale nazionale il cinquantesimo dello Stato) sul
terrorismo: si vedeva in bianco e nero, con forti contrasti, una
schiera di combattenti dell'Olp giovani e belli, bendati a causa
delle recenti ferite procurate loro dagli israeliani, con i fucili
e le bandiere brandite, tutti quanti in una massa entusiasta e
piena di speranze mentre evacuano Beirut su una nave in partenza.
Il mare è appena ondoso. Sono epici, ed evidentemente, agli occhi
del regista, sanno molto bene il fatto loro, per così dire. Ma
ciò che è stato più choccante per il telespettatore israeliano
in tutta questa scenografia è l'udire sullo sfondo il loro inno
cadenzato, deciso, virile: "Biladi biladi", "Patria mia". "Biladi
biladi" era anche il titolo della puntata di Tkuma che ancor prima
di essere vista è diventata uno scoglio per la già affaticata
coscienza nazionale israeliana in questo suo cinquantesimo
anniversario.
Lo stesso ministro delle Comunicazioni, la signora Limor Livna,
aveva fatto di tutto perché non andasse in onda, definendo la
serie un vero tradimento degli ideali sionisti, e questa puntata in
particolare un affronto alle vittime degli attentati terroristici.
L'Alta Corte di Giustizia aveva rigettato, proprio questa domenica,
in maniera definitiva la richiesta di un comitato "per la
protezione dell'identità dello Stato" di cancellare Tkuma
rispondendo che "si sa che ci sono molti modi d'interpretare la
storia. Né l'interpellante, né il servizio tv sono tuttavia i
guardiani della verità ".
La puntata di ieri toccava un nervo davvero molto sensibile specie
in questi giorni: ne era protagonista il terrorismo degli Anni 70,
quando appunto Arafat e i suoi decisero di farne la loro arma
principale. È così che, proprio nei giorni in cui, dopo la morte
dell'"ingegnere numero due" Sharif, le guardie verificano ogni
borsa e ogni pacco per paura che contengano la "vendetta" di Hamas,
sul teleschermo si sono ripercorsi i peggiori giorni di sangue: il
'72 con l'eccidio delle Olimpiadi di Monaco e le stragi di Lodz e
l'attentato all'aereo Sabena; il '74 con la più terribile delle
storie, la strage di decine di bambini nella scuola di Maalo; il
'75, con i 13 morti dell'esplosione in piazza Sion a Gerusalemme;
il '76, con Entebbe; il '78 con il più spettacolare di tutti gli
attentati, il rapimento di un autobus di linea sulla costa con 35
morti e 100 feriti. "Perché ", ha chiesto uno dei sopravvissuti di
quest'ultimo attentato di nome Simcha parlando ieri alla radio, "la
televisione abbia tratto da ciò che io ho raccontato in due ore
d'intervista solo mezza frase sulla terribile pena da me sofferta
insieme agli altri superstiti e a tutte le famiglie orbate e,
invece, abbia dato tanto spazio ai palestinesi per spiegare le loro
ragioni, resta per me un grande, doloroso punto interrogativo".
Simcha ha così riassunto lo choc nazionale.
In realtà , non solo in questa puntata, ma anche in molte altre, i
palestinesi hanno ricevuto dal regista vasto spazio per spiegare le
loro ragioni e raccontare la storia vista anche con i loro occhi.
Ne sono usciti molti episodi di violenza negli anni intorno al '48,
quando gli arabi, in seguito alla proclamazione dello Stato
d'Israele, abbandonarono in massa buona parte dei villaggi. Nel
mito nazionale israeliano, i palestinesi se ne andarono istigati
dai Paesi arabi che promisero loro l'immediata eliminazione degli
ebrei. Ma Tkuma, così come ormai molti testi scritti dai
cosiddetti "nuovi storici" israeliani, racconta come invece i
palestinesi fuggirono per la maggior parte sotto la spinta della
paura degli israeliani o sulla punta del loro fucile. Quanto al
terrorismo, l'autrice della puntata, la storica Ronit Weiss
Bercovitch, intervista molti palestinesi i quali spiegano che
secondo loro l'unico modo per riottenere ciò che gli era stato
tolto con la forza, era nient'altro che la forza; e che il
terrorismo era l'unico mezzo per ottenere l'attenzione
internazionale e intanto compattare il proprio popolo. Ma ancor
più di ciò che i palestinesi dicono, ha fatto impressione che si
ascoltassero così a lungo per la prima volta, e in un contesto che
avrebbe dovuto essere celebrativo della storia d'Israele.
Il furioso dibattito che ha accompagnato Tkuma e che ha portato a
dimissioni, e proteste, in realtà è destinato a restare nella
storia d'Israele come la prima acquisizione popolare di una
versione della storia ebraica in cui il pioniere fondatore, il
kibbutznik, o l'uomo del palmach non è più un purissimo eroe
scevro da difetti, in cui la buona volontà tradita è causa di
tutti i suoi errori e i palestinesi non esistono se non come ombre
che fanno da sfondo all'immane sforzo ebraico di far fiorire
finalmente il deserto. È pur vero, d'altra parte, e in molti lo
hanno scritto, che anche l'idealizzazione del nemico fa parte di
una fase giovanile della definizione di sé , e Israele ha solo
cinquant'anni.
Fiamma Nirenstein