IL CASO I PRIMI 6 MESI DI NETANYAHU Gli Usa lo condannano, in Israele è psicosi: ci porta alla guerra Bibi, l'arte di crearsi nemici Persino la destra è contro il suo premier
lunedì 23 dicembre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV PARE che Benjamin Netanyahu, il primo ministro eletto a
suffragio universale dello Stato d'Israele, in questi giorni vada da
un interlocutore all'altro (i suoi ministri, l'ambasciatore
americano, i vari amici-nemici arabi) ripetendo con la sua voce
profonda e con atteggiamento corrucciato: . In
realtà , dopo sei mesi esatti dalla sua elezione, Netanyahu ha ancora
tre anni e mezzo da governare. Ma la verità è che ovunque egli giri
lo sguardo non trova ormai altro che ostilità e una situazione di
discordia senza precedenti. Perché è pur vero che da Begin a Rabin
tutti i primi ministri della breve storia d'Israele hanno trovato
durissime opposizioni alla loro politica. Ma qui, per Bibi, è
diverso: il fronte che sostiene di avere a che fare con un primo
ministro incompetente e prepotente, che lo accusa di star portando
Israele direttamente in bocca alla guerra e alla rovina economica, va
molto, molto al di là dell'opposizione; ché anzi, l'opposizione al
contrario, quasi non si fa sentire presa com'è nelle beghe di
successione a Shimon Peres. Ormai è diventato normale che alla tv e
alla radio israeliane vengano trasmessi programmi di grande ascolto
in cui si fanno e disfano scenari della guerra prossima ventura.
Netanyahu ha distrutto così rapidamente la fragile fantasia di pace
dei suoi predecessori, ha agito in maniera così avventata prima
aprendo la galleria del Muro del Tempio, poi facendo ai coloni
promesse di consolidamento e costruzioni nuove, poi ancora
promettendo che si parlasse apertamente della prossima, vicina
costruzione di un grande quartiere ebraico a Ras El Amud a Est di
Gerusalemme in piena zona araba, che ormai non c'è giorno in cui non
si preveda un imminente , cioè uno scoppio. Arafat ormai lo
promette, e si permette di bamboleggiare nella trattativa per
riprendersi Hebron poiché sente che a causa dei toni roboanti e
inutili di Bibi gli si è di nuovo creata intorno una grande
solidarietà internazionale che lo mette in vantaggio. Prima di
tutto, questo è accaduto con gli arabi, com'è naturale: dagli
Emirati ai sauditi, all'Egitto, alla Giordania, tutti sono ormai
apertamente ostili al loro vecchio interlocutore di pace, Israele, e
non perdono occasione per frustarlo violentemente in pubblico. Assad,
poi, di cui si dice in Medio Oriente che è
quando sente odore di sangue attacca, fa balenare autentiche minacce
di guerra. In Libano arrivano armi nuove di zecca agli hezbollah, con
tanti auguri dall'Iran e i buoni auspici di Damasco. Cosicché
Israele ha questo nuovo delizioso passatempo: chiedersi
pioveranno i primi missili? e saranno carichi di gas venefici o no? e
in che stato è realmente l'esercito siriano? e gli egiziani, è vero
che preparano grandi manovre nel Sinai? e Gerusalemme sarà sommersa
prima della guerra o durante, da una nuova Intifada?. Il fronte
interno israeliano, poi, è come contagiato da una malattia della
discordia che mai aveva raggiunto questo livello: i religiosi e i
laici ormai appartengono a due mondi diversi, l'antica, mitica unità
ebraica sta andando in pezzi. Gli uni accusano gli altri di non
essere veri ebrei, le botte volano facilmente, il rabbino capo Lau un
paio di giorni fa si domandava come mai la storia è così terribile
da far sì che gli ebrei sappiamo morire insieme (in guerra, nelle
persecuzioni) e non sappiamo invece come vivere insieme. La discordia
è penetrata anche accanitamente fin dentro le stanze del potere,
perché la direzione è incerta, e l'autocrazia di Bibi eccessiva.
Per esempio, Netanyahu dopo l'assassinio di Itta Tzur e del suo
bambino Efraim per mano di un commando palestinese ha rivolto ai
coloni parole di totale sostegno e ha promesso loro mari e monti, con
una decisione autonoma. Poi, tutto il mondo l'ha attaccato, compresi
gli Stati Uniti, il vecchio e fedele amico d'Israele. Così Bibi ha
cominciato una rapida marcia indietro, dicendo che intendeva solo
consolidare e non certo incrementare l'esistente. Così , nessuno più
ormai è dalla sua parte, né i settler, né le forze nazionaliste
della coalizione, né tantomeno, si capisce, le forze moderate e
avanzate che non si fidano di lui. Dopo mille dichiarazioni contro lo
Stato palestinese, ora si è addirittura cominciato a parlare
nell'ufficio del primo ministro di una forma di Stato che non possa
minacciare Israele. Molto più di quanto Peres non abbia mai
promesso. E queste altalene di opinioni sono letali per il consenso.
Netanyahu ha tenuto i suoi ministri più importanti, come David Levy,
ministro degli Esteri, o Yzhach Mordechay, ministro della Difesa,
fuori dai processi di decisione, seguendo una gelosa politica che lo
porta a fidarsi solo dei suoi intimi, e che poi però non lo
trattiene dal biasimarli in pubblico se qualcosa non funziona.
Intanto, si è creata una frattura senza precedenti fra lui,
l'esercito e i servizi segreti, specialmente Amy Ayalon, il capo
dello Shabbach (i servizi interni) quand'è venuto fuori che Bibi dei
loro consigli, della loro esperienza tiene conto soltanto quando
coincidono con una decisione già presa. Ayalon è giudicato ormai da
tutti prossimo alle dimissioni, ed è un vero peccato, perché è un
ottimo professionista e un uomo d'onore. Perché Netanyahu si sia
infilato in tutti questi guai è ancora difficile da capire: se
voglia veramente distruggere l'accordo di Oslo senza aver preparato
nulla di sostitutivo, senza una politica chiara, se voglia rompere
con gli Stati Uniti, veder scoppiare una nuova Intifada dopo che
aveva promesso , accontentarsi di nuovo, come
nel passato, di veder le risoluzioni passate all'Onu col voto delle
isole Marshall e della Micronesia mentre la Russia fa fronte come ai
bei tempi con i Paesi arabi, se veramente voglia tutto questo è
difficile dire. La sensazione generale è che ci sia qualcosa di poco
politico e piuttosto invece di molto personale, legato all'indole,
alla formazione di Netanyahu, che prende il sopravvento e crea
pasticci. Netanyahu è giudicato da tutti molto bravo nella
programmazione della scalata al potere. Forse ancora non ha deciso
sino in fondo che cosa vuole farne. Può darsi che prenda il
sopravvento, in questa situazione, la prospettiva di un governo di
unità nazionale, sempre più balenante in lontananza come miraggio
di salvezza. Fiamma Nirenstein
