IL CASO I MITI INFRANTI Choc nazionale per un serial tv che dissacra gli eroi del Paese Israele, la Storia ferita Va in onda il silenzio sull’Oloca usto
giovedì 10 novembre 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Ebbene sì , è stata tagliata quella frase
di , la commedia televisiva in tre puntate che
sconvolge la memoria d’Israele sul tema più sacro e più arduo, il
rapporto fra l’Yishuv, ovvero il gruppo di ebrei già emigrati in
Palestina nel periodo bellico, e i loro fratelli europei ghermiti
dall’Olocausto. S’è mossa addirittura la Corte Suprema, domenica
scorsa, per deliberare che il pubblico israeliano non debba assistere
a uno scempio troppo grande: la messa sott’accusa di Hanna Szenes, la
più famosa e pura fra le eroine, la fanciulla la cui memoria ha
sempre salvato Israele da un dibattito troppo duro. Con un pugno di
compagni, Hanna si paracadutò nel 1944 in Ungheria, nel tentativo di
salvare gli ebrei: voleva almeno spiegare loro che cosa li aspettava,
e tentare di sollevarne la resistenza. Hanna Szenes, poetessa,
guerriera quasi bambina, fu catturata poco dopo l’inizio della sua
missione in Ungheria. Aveva detto a un compagno:
prendono, questo verrà risaputo dai prigionieri dei campi di
concentramento. E così si renderanno conto che qualcuno di noi si è
dato da fare per venire in loro soccorso. Proprio quello che i
sopravvissuti, più tardi, misero in questione: che Ben Gurion avesse
almeno cercato di salvare il salvabile, se non altro lanciando un
segnale, sollevando una bandiera. Hanna Szenes fu processata e
orribilmente torturata:
durante l’interrogatorio, e disse tutto. I nostri paracadutisti
furono arrestati per colpa sua e non per mia colpa. Questa frase il
pubblico israeliano non la udirà mai alla televisione:
ancora dunque bisogno di miti? Gli israeliani, nonostante il processo
di pace, sono ancora così profondamente posseduti dall’angoscia, dai
sensi di colpa, dall’ansia? - si chiede l’autore del dramma, Motti
Lerner - Eppure oggi lo Stato ha cinquant’anni; non ha più bisogno
di leggende. In ogni caso, se anche Ben Gurion avesse cercato di fare
di più , non avrebbe potuto. È vero, forse il discorso è ancora
rotto e isterico, ma è proprio a causa del processo di pace che
Israele può abbandonare oggi le reti di sicurezza e avventurarsi a
discutere il terribile e in parte irrazionale senso di colpa che
l’Olocausto ha lasciato nelle strutture stesse dello Stato. Ben
Gurion sapeva? Sì , ormai questo è provato da molti documenti.
Quanto sapeva? Quasi ogni cosa, ma ce ne corre da questo al
configurarsi l’intero quadro dello sterminio, ad afferrarlo tutto
quanto con la mente, ce ne corre da qui a scegliere di mettere al
servizio della salvezza degli ebrei europei tutte le energie del
piccolo gruppo di ebrei che avevano scelto l’emigrazione prima della
vampata nazista per cercare di fondare lo Stato degli ebrei.
Sull’Yishuv, che pure tentò qualche azione, prevalse un senso
d’impotenza. La commedia di Lerner chiama in causa molti protagonisti
viventi della politica israeliana, fra cui Teddy Kollek e l’attuale
presidente Ezer Weizman. La domanda che circola, dunque, in queste
ore, in tutte le case israeliane, anche in quelle di molti
sopravvissuti e figli di sopravvissuti è durissima: Israele, con il
suo eroismo, la sua poesia, il suo istinto di sopravvivenza, è nata
da una leadership che volse lo sguardo altrove, mentre, come scrisse
Ben Gurion a quel tempo,
fratelli?. Li tradì ? O, peggio, li usò ? La figura di Kastner
sembra fatta apposta per sollevare tutti questi dubbi. Kastner, un
avvocato ebreo nato in Ungheria e poi emigrato in Israele e molto
legato al Mapai, il partito socialista di Ben Gurion, dopo la
fondazione dello Stato aveva intrapreso una carriera politica ornata
da un’aureola: negli anni dell’occupazione nazista in Ungheria,
inviato da Ben Gurion, aveva trattato direttamente con Eichmann la
salvezza degli 800 mila ebrei ungheresi contro 10 mila camion. La
trattativa non andò in porto. Ma Kastner, nelle more del rapporto
con i nazisti, riuscì tuttavia ad organizzare la fuga di un treno
carico di un paio di migliaia di ebrei. Per qualche anno fu ritenuto
in Israele un eroe. Più tardi fu travolto da un’accusa terribile. Fu
infatti trascinato in tribunale, a Gerusalemme, il 1 gennaio 1954, da
un altro ungherese, Malchiel Gruenwald, che lo accusò di aver
caricato il treno della salvezza di suoi amici e famigliari, di aver
venduto la spedizione di Hanna Szenes, di avere accettato danaro,
comodità , donne, favori personali di ogni genere dai nazisti in
cambio di una sostanziale connivenza nella deportazione degli ebrei
di Ungheria. Il processo pose di fronte a Kastner un pubblico
ministero terribilmente accanito, Shmuel Tamir, un sabra che odiava
la leadership di sinistra del Paese, che la riteneva corrotta,
rovinosa, meschina, legata a vecchi schemi da politicanti comunisti
russi e polacchi. Egli auspicava un repulisti completo da ogni scoria
diasporica dell’ebraismo israeliano. Tamir, nel suo accanimento,
riuscì a portarsi dietro anche il giudice del processo, Haim Cohen,
che nel verdetto di colpevolezza (non però rispetto a tutte le
accuse) definì Kastner . Più tardi,
però , la Corte Suprema cancellò il verdetto, anzi, si spinse
coraggiosamente ad affermare che, nell’ambito delle possibilità
umane, Kastner aveva fatto del suo meglio per salvare gli ebrei
ungheresi. Ma il protagonista non lo seppe mai. Il 3 marzo 1957,
pochi mesi prima della decisione del tribunale, di fronte alla sua
casa di Tel Aviv, in piena notte, un uomo gli sparò tre colpi di
pistola. Il dramma gode di un ottimo dialogo, il protagonista, Sasson
Gabbai, è un attore di tutto rispetto, il regista Uri Barabash è
famoso e bravo quanto occorre: eppure gli attacchi alla piece
riflettono uno spirito terribilmente inquieto del Paese, della sua
leadership intellettuale. Un coro di commentatori l’ha definita
l’impresa sionista fu concepita nel peccato, a riscriverne la storia
distruggendone l’immagine. Fiamma Nirenstein