IL CASO I FRUTTI DELLA PACE Miracoli di Natale in Terrasanta Abeti, d oni, Santa Claus: un nuovo costume
martedì 27 dicembre 1994 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO può
essere un’espressione molto sensata in certi giorni persino nello
Stato degli ebrei, quando per esempio l’ennesimo folle integralista
islamico si getta, carico di dieci chili di tritolo, su un gruppo di
persone che aspettano l’autobus alle 6 di mattina in un luogo che
tutti, proprio tutti, devono utilizzare almeno un paio di volte a
settimana. E nessuno muore, fuorché il terrorista: Miracolo a
Gerusalemme, Miracolo in Israele. Così hanno titolato i quotidiani
israeliani. A tutta pagina. Titoli stupefatti, sconsolati,
accompagnati dalle solite foto di confusione e di sangue, e tuttavia
desiderosi di dar spazio alla possibilità che la buona sorte trovi
la sua strada verso il Medio Oriente. Qualsiasi strada. A che santo
votarsi, visto che ai santi gli ebrei non credono? Magari a Babbo
Natale, che forse, tornando verso il Nord con le sue renne (ha
scritto nel commento principale il grande quotidiano Maariv, la
colonna dell’establishment dell’informazione locale) ha chiesto nel
giorno della nascita di Cristo alla sorte (o al Padre Eterno, o
chissà a chi) di essere gentile con il popolo che gli ha donato
Gesù . I tempi cambiano davvero. I tabù , in questa Israele del
processo di pace, cadono a uno a uno: il Natale è la festa cristiana
per eccellenza; Babbo Natale è un simbolo insieme cristiano e
consumista, mai sarebbero stati citati nell’Israele di Ben Gurion o
anche soltanto di Begin con simpatia e confidenza sulla prima pagina
di Maariv, e soprattutto nell’occasione di un evento tanto, in fondo,
privato e doloroso quanto un attentato. L’orgoglioso attestarsi del
popolo ebraico al di fuori dei tracciati consumistici occidentali,
creandosi tutto un suo sistema di valori laici ma ebraici, tenendo a
debita distanza la religione cristiana che certo agli ebrei ha dato
molti dispiaceri, sembra in questi giorni di Natale in gran parte
dimenticato: Tel Aviv, la capitale di tutti i nuovi trend culturali
celebra uno strano come è stato ribattezzato per scherzo
Christmas, un depurato dal nome di Cristo. Alberi di Natale
illuminati appaiono ai crocicchi delle strade, sulla passeggiata a
mare di Rehov Hayarkon, il grande ristorante Chicago Pizza Pie
Factory ha messo all’esterno del locale un albero ornato di palle
colorate e luminose, organizzato una gran festa di Natale, ha
collocato per strada un Babbo Natale rosso vestito che serve da
richiamo ai passanti. Anche la catena di cibo indiano di
proprietà di Reena Puschkarna ha organizzato banchetti ed ha esposto
immagini di Babbi Natali invitanti, e così pure i negozi del ricco
sobborgo di Hertzlya Pituah, dove vivono molti stranieri; e la catena
di locali omosessuali di Arielle Levy, la Muza Productions ha fatto
lo stesso. È la prima volta che si vedono in giro per Israele
uomini con una gran barba che non siano né ebrei ortodossi né
integralisti islamici commentano ironici gli abitanti di Tel Aviv. I
russi da poco immigrati sono contenti di poter di nuovo celebrare il
Natale senza essere sospettati di non essere ebrei. Perché in
realtà avevano seguitato sempre a farlo, ma di nascosto. I
negozianti, secondo un’indagine del quotidiano Jerusalem Post
garantiscono che in questi giorni c’è un cospicuo scambio di regali
e che i consumi voluttuari, come per esempio la cioccolata di
produzione svizzera, sono aumentati nelle vendite del venti per
cento. Quel che è più stupefacente, è che il commercio di alberi
di Natale è passato da una distribuzione di circa mille abeti nel
1988 a diecimila quest’anno. E chi li distribuisce? Il Fondo
Nazionale Ebraico, cioè una fre le più sioniste fra tutte le
organizzazioni, che dalla fondazione dello Stato ha fatto
deserto con un’eccezionale politica di forestazione.
interessa molto di più salvare gli alberi e non consentire commerci
selvaggi piuttosto che sovraintendere alla purezza ideologica del
Paese dicono i portavoce del Fondo. Il consigliere comunale
religioso di Tel Aviv Shmuel Gefen non è preoccupato, o almeno non
più del solito:
fuori dall’educazione ebraica. I nostri ragazzi non celebrano certo
la nascita di Gesù Cristo; colgono invece l’occasione di farsi un
ballo o di partecipare a una festa uguale a mille altre feste,
stavolta sotto un albero di Natale. È una novità . Fare una festa
per Natale non è certo più grave che dissacrare il sabato o rompere
le regole alimentari. Il sole di Gerusalemme risplende alto in
questi giorni. Il deserto è nel suo tempo di fioritura. Santa Claus
si veste di rosso e scampanella a pochi chilometri dalle tende
beduine e dai villaggi del West Bank dove la madre del terrorista
Iman Jumah Rady si è vestita tutta di bianco impugnando una pistola
e ha dichiarato al mondo il grande onore che ha fatto suo figlio alla
famiglia facendosi saltare per aria nel tentativo di compiere una
strage. La radio commenta con stupore il fatto che il giovane fosse
un poliziotto della nuova autonomia palestinese. Ad ogni minuto può
scoppiare un’altra bomba. Ad ogni minuto può verificarsi un’altra
strage. I giovani ebrei di Tel Aviv, alle volte, vogliono cercare di
dimenticare. Chi può dar loro torto? Fiamma Nirenstein