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IL CASO GLI OSTAGGI DELLA GUERRA Il perdono impossibile Non saranno l iberate 4 palestinesi

sabato 7 ottobre 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME È atteso dunque per domani l'ordine di scarcerazione per 23 o 24 delle 28 donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane, primo pegno concreto e vibrante della pace: sempre, quando le guerre finiscono, è tradizione che i prigionieri vengano restituiti, che portino a casa le loro ferite e che per loro ricominci la vita. E poi , ha detto Arafat a Peres durante i colloqui che hanno preceduto la firma di Washington per convincerlo a rilasciare subito anche le più feroci fra le patriote palestinesi. Oppure, come semplicemente ha detto il ministro Yossi Sarid, è consuetudine che ragazzini, donne, malati, vecchi, vengano rilasciati per primi. Adesso Arafat ripete che tutte, proprio tutte devono uscire le 28 prigioniere, subito prima dei 1500 maschi prigionieri del primo scaglione concordato dalle due parti. Ma quattro, o forse cinque delle detenute non usciranno da dietro le sbarre, anche se si sa che Rabin e Peres vorrebbero fortemente soddisfare quello che per Arafat è un impegno di fedeltà verso il passato della lotta armata, verso i quadri del suo esercito più autentico, e quindi una grande occasione per ottenere il consenso destinato a vincere le prossime elezioni. Ezer Weizman, il presidente capopopolo che si fa sempre più spesso interprete dei sentimenti della gente specie quando sono antigovernativi, dal primo momento in cui è stato posto il problema della liberazione dei seimila prigionieri complessivamente detenuti nelle carceri israeliane, disse con precisa e laconica determinazione: tutti, ma non quelli che abbiano le mani sporche di sangue. Donne o uomini, non importa. Sotto la giurisdizione della sua grazia, in realtà si trovano pochi individui, solamente quelli nati all'interno del territorio israeliano, e non nei Territori. Per gli altri è soltanto il generale Ilan Biran che può decidere: la giurisdizione è quella del tribunale militare e non della giustizia civile. E tuttavia Biran, che è molto legato a Rabin, e che certamente preferirebbe mettere fuori dal carcere tutte le prigioniere, non può contraddire il Presidente della Repubblica. Le mani sporche di sangue vogliono dire recenti agguati sanguinosi contro civili, sparatorie alla cieca in direzione di macchine a volte cariche di bambini durante agguati notturni, bombe esplose nei luoghi pubblici. Così Biran si riserva di trattenere due o forse tre prigioniere. Weizman, due. Una si chiama May Al Gusein che, dopo aver pugnalato un soldato a Gerusalemme, in carcere ha strangolato una compagna di cella sospettata di essere una collaborazionista; l'altra è Inaam Jaber, di 21 anni, che a 16 uccise un ragazzino ebreo religioso. Ma la prigioniera che più fa palpitare i palestinesi e che per Arafat potrebbe simbolicamente aprire una grande crisi, si chiama Abir Wahidi che nel 1991 faceva parte di un commando che uccise Zvi Klein, un civile israeliano, sparandogli attraverso un finestrino dell'automobile. Abir ha oggi 26 anni ed è una famosa attivista del Fatah, che fu condannata a 17 anni di carcere perché non aveva materialmente sparato addosso a Klein. Di lei si sa però che è una grande organizzatrice e una comandante, nonché una staffetta portatrice di ordini e di armi, un'indomita sostenitrice della sua causa e anche una ragazza molto bella e molto colta. Abir sfruttava appunto la sua avvenenza per passare, nascondendo armi, i posti di blocco israeliani. La sua educata famiglia di Ramalla, sotto una foto gigantesca della figlia, incorniciata d'oro, dice in ottimo inglese che se Abir non torna a casa, questo significherà che pace ancora non è stata fatta e tutti i palestinesi dovranno tenerne conto. La vedova di Zvi Klein, disfatta dal dolore, domanda perché chi ha distrutto la sua vita e ha sparso il sangue di suo marito, debba tornare a godersi la vita nella sua famiglia e fra i suoi amici. Israele sanguina all'idea dei seimila palestinesi che stanno per tornare in libertà . Rabin e Peres, nel 1985, rilasciarono 1100 palestinesi del terribile gruppo di Abu Jibril, in cambio di tre soldati israeliani; moltissimi fra i prigionieri rilasciati sono tornati ad azioni di guerriglia contro Israele. Dunque l'opinione pubblica è agitata e confusa, le ferite sanguinano ancora. Per placarla, Weizman sta pensando a un indulto anche per gli israeliani che si siano resi colpevoli di crimini contro i palestinesi. Ma è un'operazione che somiglia molto a un autogol nel momento in cui il Paese, tanto spaccato, non ha certo bisogno di fanatici in giro che fomentino una guerra fratricida. Fiamma Nirenstein

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