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IL CASO DA NEMICI A VICINI L'indifferenza d'Israele Ma prevale la vog lia di normalità

lunedì 22 gennaio 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Si è dovuti arrivare al giorno dei risultati elettorali palestinesi perché i tre grandi quotidiani israeliani si decidessero a fare il titolo di testa sulla storica giornata dei loro vicini. E perché la televisione e la radio facessero finalmente interviste a politici e militari così da raccogliere idee, impressioni su quello che è certo l'evento più importante del Medio Oriente e di sicuro estremamente significativo per Israele. I media israeliani salvo pochi reportage e un numero di commenti limitati a questioni ideologiche, come il tema della democrazia, non hanno molto lavorato su qualcosa che solo poco tempo fa sembrava un sogno: l'intera popolazione palestinese che va alle urne, scegliendo di ignorare l'indicazione dei più estremisti; e, compatta, segnala, votando, la sua adesione plebiscitaria al processo di pace. Che Arafat abbia imposto se stesso e i suoi uomini in una misura eccessiva, forse al di là dei suoi stessi desideri, agli occhi degli israeliani non è affatto un grande problema, forse il contrario. Arafat oggi per Israele e per la sua classe politica dirigente è soprattutto il plenipotenziario di un rapporto che finora si è dimostrato fruttuoso. Peres, infatti, sembra felicissimo quando dice che i palestinesi hanno segnalato al mondo intero la loro volontà di pace con queste elezioni. Risultano molto deboli, adesso, le lamentele della destra, che seguita a portare esempi di candidati che hanno fatto la loro propaganda elettorale all'insegna del Kalashnikov e della promessa di conquistare Gerusalemme. Va molto forte invece in queste ore l'espressione che usano sia gli intellettuali palestinesi che i commentatori israeliani più famosi come Yehuda Yaari: . Tutti dicono che è nata ieri con le elezioni. E che cosa vuol dire? È un'espressione double-face, utile ad ambedue le parti. Yaari la usa per dire che nel mondo palestinese, andando a votare con tanta passione, si è aperta una lotta inusitata nel mondo arabo per ottenere uno Stato democratico. Quindi c'è un'Intifada, ma non è più contro Israele. Che respiro di sollievo. Da parte palestinese l'accento è più sulla parola che sulla parola : ovvero, le elezioni si son fatte, ora è iniziata un'altra Intifada, nuova che porterà chissà dove; chi vuole pensare che porterà a Gerusalemme, è libero di farlo. Ma a Gaza non c'è stato il bagno di sangue che tutti prevedevano all'inizio del processo di pace, nei Territori solo una minoranza si trastulla ancora con l'idea di buttare a mare gli israeliani. Alla radio israeliana si intervistavano ieri senza tregua palestinesi che in ottimo ebraico esprimevano il loro buonumore e, come Muhamed Darwish, dicevano che Hamas ha perso un bel po' di terreno con queste elezioni, e forse nel prossimo futuro dovrà rivedere la sua strategia terroristica. Israele comincia in queste ore a capire che il nemico si muove, si muoverà , respirerà autonomamente con elezioni, iniziative varie, svariate espressioni di vitalità al di là del rapporto con gli ebrei. Solo in queste ore viene alla coscienza che il nemico non è più tale e che esiste anche al di fuori della relazione con te; lo stesso accade ai palestinesi. Gli israeliani non c'entrano più niente con loro, in queste ore, e il peggiore degli episodi di violenza ha avuto luogo in un paesino del West Bank dove un poliziotto ha ammazzato un cittadino. Non è avvenuto a Gerusalemme dove era presente la polizia israeliana. È dura non poter accusare di tutto Israele come sempre accaduto in questi anni. Ed è difficile in generale vivere l'uno staccato dall'altro, e seguitare a dedicarsi tanta attenzione quanta se ne merita, senza applicare il solito modello di comportamento degli ultimi 28 anni: io ti opprimo, tu mi odi; tu mi occupi, io ti faccio la guerra; tu stai sul mio territorio, io ti uccido. Si comincia ora finalmente a ragionare con la mente lucida: Israele sa che al Parlamento sono stati eletti personaggi di primo piano, capaci di dire la propria senza nessuna paura di Arafat. Di questa stoffa sono fatti Hanan Ashrawi, Sahab Erahat, Nabil Shahat, Abu Allah. Arafat ha stravinto, ed è certamente, sì , un rais di stampo mediorientale. Ma i leader amati dal popolo e formatisi, nel bene e nel male, a contatto con la democrazia israeliana, sono una novità che non esiste in nessun'altra zona limitrofa. Israele comincia ad essere curiosa di quel qualcosa che si muove là vicino, sul pacifico fronte palestinese. Fiamma Nirenstein

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