IL CASO. Crociata da Israele al Messico, per convincere le famiglie a non i figli tossicodipendenti Un rabbino anti-droga sfida l' ultimo tabù
domenica 12 marzo 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME QUESTA telefonata è assolutamente segreta, e ne capirai
subito il perché : così suona la voce di là dal mare o di là
dall'oceano in casa di amici di origine italiana a Tel Aviv o a
Gerusalemme
che ormai ha 17 anni, avrebbe bisogno di un periodo in kibbutz, o,
chissà , nell'esercito. No, non mi fraintendere, purtroppo non si
tratta di una vacanza. David (o Vittorio, o Asher) ha dei problemi
molto seri. Problemi di droga; e mi hanno detto che in Israele, in
kibbutz, in seno a una comunità calda, protettiva, laboriosa, i
ragazzi si recuperano. Ogni giorno da tutte le comunità ebraiche,
soprattutto dall'America, ma anche da Roma o da Milano, giungono in
Israele decine di telefonate di questo genere. E poi, in cerca di
aiuto e anche di un rifugio segreto, giungono i ragazzi delle buone
famiglie ebraiche.
delle comunità diasporiche, titolò tempo fa il grande quotidiano
Maariv. Il grido d'allarme veniva, in tutta la sua crudezza, da un
giovane energico trentacinquenne rabbino dai capelli rossi e dal
fisico atletico, rabbi Eitan Eckstein, detto ormai
antidroga che vola attraverso le comunità ebraiche di tutto il
mondo per indurre gli ebrei (e ultimamente anche i non ebrei) al suo
metodo . Sì , in spagnolo, perché il primo
Stato che ha aiutato il rabbino, prima ancora di Israele, è stato il
Messico, dove Eckstein era stato inviato in funzione religiosa e dove
invece oggi dispone di un grande ranch e di fondi statali per curare
coloro che lui considera né più né meno che malati. I risultati
sono ottimi: circa l'80 per cento di recuperi nel giro di ciascun
anno di lavoro, e una progressiva diffusione del metodo in tutta
l'America Latina, con finanziamenti statali. Adesso per lui la cosa
più urgente è stabilizzare e allargare il lavoro in Israele dove
già esiste un'organizzazione a Petah Tikwa, vicino a Tel Aviv, e un
centro di recupero già funzionante a Ilanot; e conquistare al suo
lavoro le comunità europee. Ma soprattutto è importante, per
Eckstein e per chi, come l'italiana Daniela Abravanel, lavora con
lui, che le famiglie ebraiche di tutto il mondo, compreso Israele,
superino una pruderie tipicamente legata a una comunità delimitata,
socialmente definita, spesso perbenista e familistica come quella
israelita, e si affaccino al problema. C'è un problema culturale
specifico - dice Eitan - ad ammettere che un bravo ragazzo ebreo,
specie in una famiglia benestante sia vittima di un fenomeno
normalmente considerato come legato alla miseria. Proprio
nell'esercito mi sono accorto, invece, che facevano uso di sostanze
varie soprattutto i bei ragazzi delle famiglie eleganti. I genitori
speravano che l'esercito li aiutasse, e se non l'esercito, il
kibbutz. Succede esattamente il contrario. Laddove i giovani vivono
più fitti, più a contatto di gomito, la droga si diffonde in un
istante. La resistenza ad ammettere che la droga è un problema
anche per gli ebrei è tale, raccontano Eckstein e la sua aiutante
Daniela che nessun rabbino europeo ha ancora risposto a una lettera
circolare spedita con l'autorevole timbro dell'Università di Bar
Ilan in cui si chiede di dare informazione e collaborazione sulla
situazione della droga nelle comunità .
sotto il tappeto, mentre ormai sappiamo che per esempio in Israele su
meno di 5 milioni di abitanti abbiamo circa 15 mila
tossicodipendenti, e 300 mila persone hanno fatto o fanno uso
occasionale di droghe. E anche nel resto delle comunità ebraiche nel
mondo il fenomeno si può valutare fra il 2 e l'8 per cento. Un
fenomeno enorme coperto da silenzio. Altrettanto tragicamente
silente il fenomeno dell'Aids che investe soprattutto la comunità
religiosa americana, ma che ormai riguarda anche l'Italia.
Nell'ultimo anno a Roma e a Milano ci sono stati due morti per Aids,
e nella piccola comunità italiana non è poco. A Brooklyn si sa che
nelle case stesse degli ultrareligiosi vestiti di nero si nascondono
morti silenziose cariche di vergogna di ragazzi ortodossi, che si
consumano fino alla fine nei letti di dolore con i riccioli laterali
sul cuscino, senza visite, senza quasi che nessuno sappia della
malattia. Nella cintura di New York, si valuta che fra gli ebrei ci
siano fra i 5 e i 15 mila sieropositivi. Il silenzio, dunque, è il
maggior nemico del rabbino Eckstein.
tutto, consiste nel lavorare con le famiglie, anche quando i drogati
stessi sono assolutamente contrari a qualsiasi intervento. È prima
di tutto alla famiglia che occorre spiegare un punto basilare:
lasciar passare il tempo aumenta la dipendenza. Tanto più la
famiglia all'inizio cerca di evitare lo scontro col drogato e gli
consente i mezzi per acquistare la droga, tanto più la
tossicodipendenza aumenta. La famiglia rimanda, rimanda, soprattutto
quando se lo può permettere economicamente. Dobbiamo quindi
insegnare a queste famiglie benestanti che il tempo lavora contro di
noi. E per facilitare la strada verso l'aiuto al ragazzo drogato
creiamo situazioni ben coperte, dove non occorra dichiarare
esplicitamente il proprio bisogno. E siamo sempre pronti a
intervenire a domicilio e a passare molto tempo in compagnia delle
famiglie che ne abbiano bisogno, e sempre tutto in modo rigorosamente
gratuito. Una famiglia che capisce il problema è un ponte per il
ragazzo verso la riabilitazione. E quando il padre e la madre per
così dire curati, riescono a inventarsi dei sistemi per convincere
il proprio caro, è quasi fatta. L'intervento curativo avviene per
via comunitaria: è molto importante non cercare di sostituire la
droga con nessun'altra dipendenza alternativa, dice il rabbino,
neppure con la religione, e tantomeno con l'amore.
ragazze nelle nostre comunità vivono separati. Ognuno deve avere a
che fare solo con se stesso, guai a inventarsi scappatoie emotive. E
anche la Torah, che è tuttavia una grande arma contro la droga,
perché agli ebrei la vita è carissima sopra ogni altra cosa, e vi
è scritto "guarderai alla tua anima molto molto" (è raro che si
ripeta "molto" per due volte), tuttavia la si usa in maniera non
rituale, né dogmatica: sono i valori, e non la ritualità , che
possono aiutare i drogati. L'ebraismo ci aiuta solo perché ci dà
molti esempi, molti insegnamenti. Adamo per esempio si perde perché
è spinto dalla curiosità ; Noè si ubriaca perché è impaurito dal
vuoto; Lot si danna perché cerca una fuga dalla realtà . Curiosità ,
vuoto, fuga: concetti che ci interessano, e su quelli lavoriamo con i
ragazzi. Il metodo terapeutico di Eckstein è continuamente in via
di perfezionamento presso l'Università di Bar Ilan. Parte dal
principio che i drogati non sono invalidi, e quindi possono e debbono
lavorare e mantenersi. Così vien fatto nel grande ranch nel Messico,
così nella comunità di Ilanot in Israele. La chiave è
l'agricoltura, praticata con le sofisticate tecnologie israeliane che
consentono di produrre dispendiose primizie. Nessuno, così , deve
pagare per restare nella comunità , nemmeno le famiglie abbienti e la
permanenza dura mediamente un anno. Proibito il sesso, proibita la
violenza. Il lavoro psicologico e culturale è il grande impegno del
rabbino, che tuttavia è molto soddisfatto:
comunità europee, con tutte le cautele e la segretezza che ci vuole,
si facciano vive come ormai sta accadendo in America. Sarebbe brutto
per tutti svegliarsi all'improvviso e chiedersi: ma allora se non la
prendono i miei figli, e neppure i tuoi, chi è che prende tutta
questa droga?. Fiamma Nirenstein