Il bullismo di Putin fa sognare il mondo arabo
lunedì 1 settembre 2008 Diario di Shalom 0 commenti
Con l'invasione della Georgia si è rotto un equilibrio anche in Medio Oriente. Molti i paesi arabi che si sono rivolti al presidente russo per avere nuovi armamenti da utilizzare contro IsraeleShalom, settembre 2008
Lo scenario mediorientale non è più lo stesso, gli osservatori e coloro che vogliono essere pronti alle sue più complesse sorprese devono saper coltivare uno sguardo strabico che guardi due teatri e cerchi di metterli in relazione. Lo sfondo sempre più definito della nuova situazione è un Medio Oriente affascinato da diversi poteri e fra di essi conteso, ma soprattutto attratto da un doppio e triplo gioco che si mostra a prima vista promettente, ma che non sa dove questo azzardo possa portare a lungo termine. Lo sfondo più nuovo è la veloce ma stupefacente, decisiva guerra della Russia contro la Georgia, l'affermazione di un'attitudine imperialista che non sente interferenze internazionali: il mondo arabo, e lo si è visto su quasi tutti i giornali arabi e naturalmente su quelli iraniani, è rimasto sedotto e affascinato dal “no” della Russia all'Occidente, lo ha letto come una vittoria, vi ha visto un segno del tramonto del potere americano che da tempo, anche sotto forma di aiuto ai paesi moderati, è oggetto di fastidio nel migliore dei casi, di profondo odio nel caso dell'integralismo.
Gli arabi hanno subito inneggiato alla ripresa di un sistema bipolare, appena turbati dall'idea che l'Iran possa avvantaggiarsi di una nuova alleanza con una Russia che lo usa come pedina decisiva, e poi ne viene usato. Il direttore di un giornale arabo che esce a Londra, Abd al Bari, ha scritto un editoriale che si chiede “E' finita la luna di miele americana?” e spiega la sua domanda dicendo che le politiche americane in Medio Oriente sono state un totale fallimento e che si sono aperte così le porte all'influenza di Russia e Cina. E su un website giordano il giornalista Eyad Jamaleddine con un punto di vista più filo occidentale, pure scrive: “L'America ha abbandonato la Georgia proprio come ha fatto col Libano”. Persino Al Ahram, il giornale ufficiale egiziano, insieme a un coro di editorialisti e intellettuali di ogni Stato dell'area hanno più o meno annunciato il ritorno della Russia come giocatore attivo e anzi incitano a non perdere il treno delle nuove ambizioni egemoniche che possono avvantaggiare il loro mondo e incitano a “non mettere tutte le uova nello stesso paniere”. L'antiamericanismo, e l'antioccidentalismo in genere, è merce molto diffusa dalle parti dell'Islam, e la recuperata presenza internazionale della Russia eccita gli animi e fa sognare nuovi scenari.
Negli anni passati gli USA, seguiti a distanza dall'Europa, ha proposto un modello democratico e anti integralista. La guerra prima in Afghanistan e poi quella in Iraq sono stati conflitti idealisti oltre che di difesa dal terrore, che vedevano nella liberazioni dai Talebani, da Al Qaeda, da Saddam Hussein, o da forze analoghe, antidemocratiche e repressive e totalitarie in senso religioso o nazionalista, la premessa della creazione di un consenso islamico moderato e democratico a carattere ideologico, ovvero proiettato verso un futuro libero e democratico dell'uomo islamico. In parte la proposta ha funzionato, specie in Iraq, e certamente ha spinto avanti il tema della democrazia contro l'idea integralista proveniente dai gruppi salafiti come Al Qaeda o dagli estremisti sciiti iraniani, più i loro alleati di ogni genere, Siria, Hezbollah, Hamas. L'idea occidentale, accompagnata dalla spinta di un pubblico appassionato e dal pensiero di molti intellettuali, è stata a lungo quella che i moderati alla fine potessero costruire il futuro del Medio Oriente una volta aiutati a liberarsi dagli estremisti. E non è detto che un giorno non arriveremo a questo. Ma avevamo sottovalutato la forza dell'integralismo e la disponibilità di forze esterne a servirsene o a rendersene strumenti per propri fini.
Adesso, comunque, l'idea continua ad essere importante ed è la speranza di tanti dissidenti che languono nelle carceri, vengono condannati a morte, a sofferenze, ad esilio. Una speranza che si nutre del pensiero delle folle irachene col dito inzuppato nell'inchiostro per votare liberamente, a rischio della vita, dopo tanti anni di oppressione sanguinosa. Ma l'integralismo islamico si è avvalso di grandi forze, di molti uomini, di molto denaro investito in armi, del miraggio della bomba iraniana, dell'acquiescenza di una vasta parte dell'opinione pubblica che scambia il desiderio di pace con l'appeasement di fronte al pericolo. Gli USA e l'Europa, sia pure con tempi e modalità diversi, sono giunti a dubitare della fertilità del binomio democrazia-lotta al terrorismo, e hanno intrapreso un cammino diverso, quello in cui si punta a tentativi di piccole pacificazioni decontestualizzate da tutto, una specie di specchio per le allodole mentre si muovono faglie più profonde e si spostano continenti, nel tempo in cui è del tutto evidente che si costruisce una poderosa situazione di conflitto, in cui Russia, Cina, Pakistan, Venezuela e Iran costituiscono uno sfondo antagonistico rispetto all'idea occidentale che la guerra vada evitata, ridotta, vista come il peggiore di tutti i mali. Questi Paesi propongono invece uno scontro di potere legato solo alla propria crescita soggettiva. Putin è la prova vivente che i neoconservatori tanto vituperati, hanno ragione: un regime che sostituisce il potere personale a quello del popolo, ovvero la tendenza al potere assoluto, si volge necessariamente all'espansionismo e al bullismo internazionale come base di consenso e garanzia di ricchezza nella mancanza di controllo.
Se guardiamo allo scenario mediorientale, la Siria è il più grande campione dell'attuale “doppio teatro”. Bashar Assad come tutti sanno un mese fa è andato a Parigi dove gli sono stati srotolati da Sarkosy tappeti rossi perché apra rapporti diplomatici col Libano, continui le sue trattative in Turchia con Israele, abbandoni il rapporto con l'Iran e con i gruppi terroristi che hanno sede a Damasco. Sarkosy sa benissimo che Damasco ha passato agli hezbollah tutte le armi con cui hanno trasformato il confine del Libano con Israele in un confine iraniano ancora più fortificato di prima (intorno a 10mila missili), sa bene anche che gli Hezbollah, grazie anche a lui e all'incontro di Doha, hanno ormai diritto di veto sul governo libanese e sostanziale diritto di attaccare Israele in nome del Libano intero, così impone “la resistenza”!. Adesso, nella sua visita di questi giorni, Sarkosy sa anche che Assad è stato il primo a correre, dopo la vicenda georgiana, a trovare Putin per manifestargli la sua solidarietà denunciando invece la solidarietà israeliana con la Georgia e facendone per la Russia, un casus belli: “adesso” ha detto letteralmente Assad “dovete dare armi ai nemici di Israele”. E fra questi egli si è pregiato di elencarsi, chiedendo sistemi antimissile molto costosi e la presenza nel suo porto di Tartus di navi da guerra russe come presidio fisso per la nuova, auspicata, guerra fredda in Medio Oriente. Nel contempo, però Assad faceva affermare dal suo ministro degli esteri Walid Muallem che le trattative con Israele vanno bene e che gli israeliani sono seri. Ovvero: non si è associato alla consueta serie di contumelie dei suoi amici iraniani e “proxy” nella promessa di distruggere Israele, ma si presenta sul contesto internazionale come un Paese che ambisce al ruolo di mallevadore equidistante, amico dell'Iran (con cui seguita ad avere rapporti superprivilegiati) ma propenso a gettare un ponte con l'Occidente anche per conto di Ahmadinejad (l'ha detto in Russia che parlava anche a nome suo), sempre che lo si liberi dall'incubo del processo per l'assassinio di Rafik Hariri; e che gli americani riammettano la Siria fra gli stati con cui avere a che fare e che gli garantiscano cittadinanza nel mondo degli affari e dei rapporti diplomatici. Ma nel frattempo, la Siria con la Russia fa atto di omaggio, si dichiara nemica di Israele, mantiene la sua partnership primaria con Teheran, la sua mano sul Libano tramite gli hezbollah, a loro volta incaricati di attaccare Israele a nome degli amici e sostenitori se si presenterà l'opportunità, mantiene Hamas e la Jihad Islamica a Damasco. Gli hezbollah sono di fatto la vera faccia della Siria in questo momento: Nasrallah è stato armato fino ai denti da Assad, Assad lo vuole in Libano per mantenere il suo potere, gli hezbollah possono colpire Israele con i loro missili senza che necessariamente il Libano sia ritenuto responsabile, e quindi impedendo a Israele di difendersi veramente rispondendo sull'intero Paese e contro l'intero esercito. Il doppio scenario costruito dalla Siria, è un esempio per tutto il mondo arabo, che aspetta a vedere dove tira il vento e se si va verso un'attacco israeliano o americano alle strutture nucleari iraniane, premessa evidente di uno scontro generale e fatale: persino re Abdullah di Giordania, accompagnato da un coro di consensi estremisti sui suoi giornali è andato a trovare Putin dopo l'episodio Georgiano, e ha fatto il suo pesante shopping di armi.
E i palestinesi? Hamas prepara armi e si esercita a attaccare di nuovo nel corso di una tregua piena di odio e fragilità, mentre Gilad Shalit è ancora prigioniero. Intanto, Abu Mazen va a trovare Olmert e ambedue si preoccupano di presentare a velocità supersonica un progetto di pace al Bush degli ultimi mesi; ma Abu Mazen intanto in Libano va a trovare il mostro terrorista Samir Kuntar e fa un discorso in cui torna sulla questione dei profughi incitandoli a tornare a casa, la casa che per quel mondo è sempre una la ummah islamica, senza ebrei, senza cristiani, che deve tornare a espandersi utilizzando, finalmente le nuove dinamiche in corso.