Il boia di Arafat avverte gli israeliani Due « spie» fucilate in piazz a nel giorno del negoziato con Peres
domenica 14 gennaio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
« Dunque, signor ministro, lei parte verso Gaza, alla volta del suo
incontro
con Arafat di stanotte, un incontro cruciale, dopo che stamani
proprio a
Gaza è stato fucilato un condannato a morte per collaborazionismo, e
un
altro è stato fucilato a Nablus sulla pubblica piazza. Non è una
situazione
un po’ strana?» . Shimon Peres ha deglutito, pallido. L'immagine del
giovane
bruno, mansueto come spesso i condannati a morte, dentro la jeep con
il
ritratto di Arafat che lo portava alla fucilazione davanti a una
folla di
migliaia di persone era apparsa solo un'ora prima. Poi ha ripreso, di
fronte
alla telecamere israeliane, l'espressione del giocatore di poker:
« Anche in
America c'è la pena di morte. E io sono contrario comunque, in ogni
caso.
Parto con le migliori speranze di raggiungere un accordo» .
Ma certo non è sotto i migliori auspici che la drammatica missione di
pace
si è avviata. « Abbiamo poco tempo - ha detto Peres dopo un pomeriggio
di
riunione con il primo ministro - fino alla fine del mandato di
Clinton. E le
sue idee restano l'unica base per una trattativa» . Soprattutto, poco
tempo
prima delle elezioni del 6 di febbraio, in cui la popolazione
d'Israele si
deciderà a votare di nuovo per Barak (o per Peres, se, come molti
vorrebbero, il giovane farà spazio al vecchio che conduce nei
sondaggi) solo
se si sentirà rassicurata che Arafat sia ancora un partner. Di certo
si sa
soltanto che i due vecchi statisti si sono incontrati anche a
quattr'occhi,
per litigare ma anche simpatizzare lontano da qualsiasi critica.
L'Autorità palestinese tuttavia, a giudicare da quanto è accaduto
ieri, è
molto tesa: Allah Bani Oded, 24 anni, è stato giustiziato in piazza
davanti
alla folla che gridava « Allah-u-akbar» , Dio è grande; il tribunale
aveva
deciso che aveva aiutato gli israeliani a uccidere un suo parente,
Ibrahim
Bani Oded; e Majdi Mikkawi, di 28 anni, è stato messo a morte nel
quartier
generale della polizia, fucilato davanti ai membri delle famiglie dei
quattro uomini, fra cui l'esponente di spicco di Fatah ( il partito
di
Arafat) Jamal Abdel Razek, uccisi dagli israeliani, secondo la
condanna,
grazie alle sue spiate. Nel pomeriggio a Betlemme altri due uomini,
uno dei
quali un ragazzo di diciannove anni che alla lettura della sentenza
seguitava incredulo a scuotere il capo, sono stati condannati a morte
di
fronte a una folla plaudente.
Tutte queste condanne in un tempo così breve rappresentano una
stretta
all'interno dell'Autorità palestinese, un richiamo alla disciplina da
parte
di Arafat in prima persona, e un tentativo di rassicurare al massimo
i suoi
uomini, i capi di Al Fatah presi di mira dalle spedizioni punitive ad
personam con cui Israele, fra molte discussioni e critiche interne,
elimina
i capi della operazioni di guerra e terroristiche antisraeliane. Il
tribunale che commina le condanne a morte è la Corte di sicurezza
dello
Stato istituita nel 1995: i suoi giudici sono in questo caso il
colonnello
Abd Aziz Wad, il giudice militare Muhammad Farhat e altri graduati
degli
apparati di sicurezza. Le sentenze di questo tribunale non ammettono
appello, agiscono secondo la legislazione egiziana per la striscia di
Gaza e
sono soggette solo alla ratifica di Arafat. Dal ‘ 95 sono state
comminate 33
condanne a morte nel territorio dell'Autorità , di cui 13 dalla Corte.
Dal
‘ 96 ne sono state eseguite 4 escluse le ultime, e la Società
palestinese per
la protezione dei diritti umani definisce i processi « totalmente
ingiusti
secondo ogni standard internazionale» .
Il tema dei collaborazionisti tocca un nervo molto scoperto nella
società di
Arafat, in cui, data l'intersezione territoriale, il problema delle
infiltrazioni e degli informatori è sempre stato molto sentito.
D'altra
parte, le organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno sempre
denunciato l'uso politico e sociale del tema dei collaborazionisti:
l'odio
che suscitano è spesso stato usato per assassinii sommari all'interno
del
mondo palestinese, talvolta per coprire scontri interni, a volte per
punire
gruppi criminali, per esempio di spacciatori di droga.
Adesso tuttavia la furia della folla in piazza aggiunge alla pena di
morte,
all'incertezza dei processi, all'inappellabile rapidità con cui le
pene sono
state eseguite, un elemento molto conturbante al problema dell'uso
della
legge in una società autoritaria come quella palestinese. Più
impressionante
di qualsiasi altra cosa è stata la testimonianza eccitata della madre
di uno
dei fucilati, che lo sconfessava e inneggiava ad Arafat per aver
fatto
giustizia.