Il bel libro di Pierluigi Battista "Mio padre era fascista"
mercoledì 17 febbraio 2016 Il Giornale 3 commenti
Il Giornale, 17 febbraio 2016Ha la forma e il ritmo di una messa da requiem cantata col Kirie Eleison, il Dies Irae, l'Agnus Dei, il libro di Pierluigi Battista "Mio padre era fascista" edito da Mondadori. Una storia scritta con passione torrenziale, che racconta uno scontro senza quartiere mentre aspira ansiosamente alla pace. Ma questa pace ha richiesto un percorso in salita verticale, che Battista affronta, e pare quasi di sentirne il respiro mentre vi conduce il lettore. Perché in realtà il racconto non si limita a scavare la storia di un conflitto ideologico ed epocale, lo scontro fra un padre fascista fino a ad aderire alla Repubblica di Salò restandone orgoglioso, e un figlio della generazione ribelle, liberal, quasi comunista o che si crede tale, sicuramente antifascista, insomma militante, da ragazzo, nel campo opposto.
La storia è dunque quella drammatica e dura di una generazione, la sua, la mia che sono un po’ più grande di Pigi, che negli anni dell'adolescenza, in un'Italia stretta fra pulsioni diverse, ha respinto i genitori, li ha messi nell'angolo delle colpe più svariate, e ergendosi, come dice l'autore "a paladino del bene e del male" ha perso di vista "la clessidra che a poco a poco ma inesorabilmente è destinata a vuotarsi" . Battista, al picco della battaglia che oramai dopo anni di fioretto e di sfumature diviene invece incursione quotidiana, recriminazione, accuse, rendiconto, alla vigilia del crollo della salute del padre che lo porterà anzitempo alla morte, dice: "Se avessi saputo che il tempo a nostra disposizione si stava invece crudelmente esaurendo, avrei sentito forse l'urgenza di una pace vera, di un nuovo incontro, di una spiegazione, di un riconoscimento reciproco... senza inquisitori, insolenze, rappresaglie, vendette. Ma non lo sapevo…". Quanti di noi potrebbero dire le stesse parole, anche senza genitori fascisti.
Pigi di fatto affronta il dramma di una generazione che negli anni 70 ha fatto dei propri genitori il capro espiatorio di tutte le debolezze e le ingiustizie del mondo chiamandole per lo più "capitalismo", e li ha abbandonati, disprezzati, ritenuti la sentina di tutti i mali. La rottura generazionale di quegli anni rende universale il racconto di Battista, certamente più drammatico perché suo padre portava così palesemente e anche con una certa voluttà e alterigia su di sé la peggiore delle colpe degli anni in cui l'autore era bambino e poi ragazzo: essere stato, anzi, essere rimasto fascista.
Battista racconta senza sconti, descrivendo un uomo confuso, eccitato, marinettiano, ipnotizzato dal Duce e dai "camerati", accecato anche sugli aspetti più feroci del fascismo da una fedeltà insistita e sbandierata che Pigi non sa, alle volte, se esaltare o biasimare. Ripetendo che il padre "erano due" l'autore disegna un personaggio per cui la camicia nera era una sovrapposizione ideologica giovanilistica (il padre aveva aderito alla Repubblica di Salò ventenne) a una solida vocazione borghese di uomo d'ordine e di legge. E viceversa. Ma la casa di Pigi in Prati aveva biblioteche e salotti ordinati, oggetti allineati, mobilio conformista, un ambiente tipico da avvocato amante della legge e dell'ordine. Ma negli anni della crescita del bambino e del ragazzo Pigi, si mescolano i due padri: c'è il turismo fascista cui Vittorio Battista sottopone il ragazzino ("Guarda") fra le statue del foro italico ("anzi, Foro Mussolini"), l'Eur col Colosseo Quadrato, e l'ordine perentorio di mettere giù i gomiti da tavola.
C'è anche l'avvocato che difenderà parimenti in tribunale destra estrema e Brigate Rosse. Ma più potente di tutto, una scaturigine infinita di amarezza, di offesa, del senso del tragico rifiuto dell'Italia patito con la fine del regime. Un sentimento sovrastante, che ha segnato la vita di Vittorio e quella della sua famiglia: Pigi viene a conoscenza della disperata solitudine del padre, della sua sofferenza quando gli viene in mano un diario in cui si descrivono le vicissitudini dei prigionieri di Salò. Il racconto saliente ce li rappresenta, e fra loro Vittorio, in catene, coperti di sputi e di insulti mentre sfilano in mezzo a una folla che grida odio e vendetta; e poi, la descrizione la prigionia a Coltano, le "gabbie dei gorilla" l'ombra tragica di Ezra Pound e degli altri che per aver praticato fino all'ultimo la loro fedeltà, subiscono non solo una sorte orribile, ma anche la sempiterna maledizione dell'ignominia fascista. Pigi racconta la storia di suo padre senza cercare sconti, a volte si permette persino qualche sorriso che ormai appare tenero, ma che a suo tempo deve essere stato beffardo.
Quando rivanga l'atrocità dell'antisemitismo concede a suo padre l'attenuante di una certa inconsapevolezza, anche se non ci crede fino in fondo. E non ci credo neanche io, anche se in molti l'antisiemtismo fu blando, e forse perciò tuttavia ancora più colpevole di fronte alle leggi razziali e alle deportazioni. Pigi concede al padre, e qui ci credo,un desiderio sincero di riparazione, e chi scrive deve confessare una grande emozione nell'aver letto che quel percorso di coscienza è avvenuta anche attraverso la nostra amicizia. Una pagina in cui si parla dei nostri padri disegna tutta la fatica di chi è nato dopo la seconda guerra mondiale a elaborare la tragedia che ciascuno per la sua strada, essi hanno attraversato. Pigi ha avuto il suo redde rationem per tornare verso l'affetto del padre, in un momento di grande conflitto quotidiano, quando nel rogo di Primavalle appiccato alla casa di un militante di destra bruciato vivo fu ucciso un bambino della famiglia Mattei, e l'opinione pubblica non ne venne turbata perché si trattava del rogo della casa di un militante di destra.
Da qui inizia una strada che viene marcata dalla morte di Vittorio che Pigi percorre fino al terremoto che lo travolge quando da giornalista a Fiuggi copre il congresso del MSI che abbandona la veste fascista: la notte il messaggio del padre sulla fine, sulla disfatta, sull'abbandono, si trasforma in febbre, pianto, disperazione, in nostalgia per il babbo che se n'è andato. No, il personale non è politico, Pigi è oggi un giornalista famoso per la sua passione democratica, il contrario del fascista che suo padre è stato, ma ha imparato a amare il padre come probabilmente sui padre ha sempre amato lui.
mercoledì 17 febbraio 2016 16:38:08
Bellissimo pezzoDAVID
marcello , ancona
mercoledì 17 febbraio 2016 15:49:06
amo leggerla, sempre.oggi di più.
ALBERTO TERRACINA , roma italia
mercoledì 17 febbraio 2016 12:13:25
Lettura molto avvincente, Ho sempre avuto una grande stima per Battista.