IC7 - Il commento di Fiamma Nirenstein
Informazione Corretta, 15 luglio 2013
La deposizione di Mursi è certo difficile da digerire per quelli che hanno creduto nelle rivoluzioni arabe. I democratici dicono che un leader eletto, non può essere gettato via dall’esercito, anche se la deposizione è richiesta da gran parte della popolazione. Ma dice bene Bernard Lewis: le elezioni non sono un punto di partenza, ma un punto di arrivo per chi voglia vivere in uno Stato democratico. Specialmente nel mondo arabo. Anche Mubarak prendeva il 90 per cento dei voti, e questo non significava che avesse un programma democratico. Lo stesso è accaduto con tutti i rais di un tempo: percentuali altissime di voti, e neanche un briciolo di trasparenza o di disponibilità da parte del nuovo potere se non per i propri scherani e per le hamule ideologiche di appartenenza. Così è stato anche per Mursi, un nuovo Mubarak in forma di predicatore della Fratellanza Musulmana, uno che arrivato al ruolo di presidente dopo anni di persecuzioni e persino di prigione da parte del potere costituito si è tutto dedicato alla distribuzione dei posti importanti ai suoi amici della Fratellanza, ed è stato molto di più al loro servizio che non a quello di un popolo misero, affamato bisognoso di riforme e di pane.
Oggi, chiunque si metta dalla parte di Mursi e pretenda di difendere così la democrazia, è in mala fede. L’esercito golpista, che lavora a un nuovo governo provvisorio e cerca di combattere il terrorismo nel Sinai con un certo vigore, non viola una volontà popolare che non è mai rispettata, non distrugge nessuna istituzione democratica, che non è mai purtroppo stata creata.
Lo sanno benissimo anche i palestinesi che hanno appeso il ritratto di Mursi addirittura sull’ingresso della Moschea di Al Aqsa, uno dei principali simboli dell’Islam, quello che tutti i musulmani del mondo citano per spigare quanto sia impropria a Gerusalemme la presenza degli ebrei, quella il cui nome risuona in tutti i discorsi islamisti per parlare della riscossa jihadista che trasformerà il mondo in un califfato. E proprio là, nella Moschea, venerdì scorso, durante la preghiera particolarmente solenne perché si trattava del primo venerdì di Ramadan, sotto il ritratto di Mursi si è svolta una manifestazione in suo supporto.
E’ vero che i leader dell’autorità palestinese non hanno apprezzato questa scelta, e hanno dichiarato con Abu Mazen, che l’Egitto ha i suoi affari interni ai quali i palestinesi non devono essere interessati. E’ evidente che Hamas, e non Fatah, è veramente interessato a sostenere Mursi, perché li lega un rapporto perenne, quello dell’appartenenza alla Fratellanza Musulmana. E tuttavia quel ritratto sta là all’entrata della Moschea, e l’anima popolare dei palestinesi, e lo si è visto anche a causa di manifestazioni di strada degli arabi israeliani a favore di Mursi, prende ancora una volta la strada della religione, ancora una volta il collante non è la speranza di uno Stato accanto allo Stato ebraico, ma l’ideale panislamico di cui la Fratellanza è campione. Di nuovo i palestinesi, come è stato sin dai tempi di Arafat che invitava i bambini a diventare shahid, ovvero terroristi suicidi, per liberare Al Quds dagli ebrei, nuotano nella corrente della guerra di religione. Ha un bel dire Abu Mazen di biasimare Hamas per la sua esplicita presa di posizione. La verità è che la cultura diffusa anche da Fatah in questi anni, porta sempre dalla parte dell’estremismo. Ai tempi di Saddam Hussein, quando questi sparava missili su Israele, i palestinesi, che pure avevano qualche buona ragione per non amare la sua invasione del Kuwait, si arrampicavano sui tetti e danzavano invitando Saddam a colpire Tel Aviv e inneggiando al rais. Dal tempo della Spartizione la linea del rifiuto, via via nelle trattative con Rabin, Barak, Olmert, è sempre stata vincente. E ora non ci si vuole sedere senza precondizioni, non si vuole trattare, non sia mai che si arrivi a un accordo. L’ombra del padre spirituale dei palestinesi Haj Amin al Husseini è sempre in un angolo che sorveglia i suoi.
Gli egiziani, che hanno la responsabilità di una grande nazione, l’unica vera nazione araba non disegnata solo dagli accordi Sykes Picot ma anche da una storia millenaria, intanto rendono chiaro che per loro Hamas è un punto interrogativo, che non gli basta che sia membro della Fratellanza, ma che vogliono assicurazioni sul Sinai. Ovvero vogliono evitare che Hamas sia complice del continuo scorrazzare di terroristi che compiono attentati contro l’esercito. Hamas, che è in difficoltà perché il suo migliore amico è andato in prigione e perché non ha più rifugio in Siria, cerca di rifarsi sull’opinione pubblica palestinese, e in buona parte ci riesce. Non sono buone notizie per il processo di pace, e Kerry, in arrivo nell’area per la sesta volta, ne dovrà tenere conto.
Tratto da Informazione Corretta
Si, è vero quello che dice Aurora, ma c’è anche lo zampino del “padre della menzogna editoriale”; La Repubblica. A loro è permesso tutto, perché hanno dallo loro le ‘Toghe rosse’, e quando capita,in modo furbesco, ci mettono sempre lo zampino, inzuppano il pane nel latte della disinformazione, cercando il marcio, lo scoop, la denigrazione continua di uno Stato democratico che se non fosse mai esistito non so quali scenari terrificanti avremmo ancora vissuto in Europa. Per questo, si servono di guitti come quel figlio di assassino, quindi non possiamo aspettarci niente di buono da questi parolai che fanno carriera sulla ‘notorietà’ degli assassini dei funzionari dello Stato.Tutti sfamati daLa Repubblica.L’Europa deve essere grata ad Israele per essere stata(e lo è ancora) in prima linea contro l’assalto delle orde arabe nel nostro continente. Diecine e diecine di Rais arabi con la loro sharia e i loro regimi dittatoriali, hanno sconvolto i loro stessi Paesi creando delle faide religiose interminabili ed inimmaginabili, cercando continuamente avalli e consensi dai nostri politici in maggioranza ex nostalgici del comunismo sovietico.Inoltre l’antisemitismo è supportato da tante istituzioni, in tutti i Paesi; i giornali, la radio, la televisione, il cinema, la pubblicità, i romanzi; negli uffici, nei negozi, nei ritrovi, tra gli amici, per le strade…in ogni luogo tutti parlano ed agiscono parlando male degli ebrei e d’Israele, perché non abbiamo ancora chiaro cosa è il Medio-Oriente, perché parlar male degli ebrei fa trend , definirsi filo-nazisti è come assumere il connotato di un leader, di uomo forte, di persona che ‘sa’… Poi, arriva il capo dei guitti italiani, Beppe Grillo, che per ottenere quella notorietà spiccia da Peter Pan, definisce Israele