I suoi figli le ultime vittime
lunedì 28 ottobre 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 28 ottobre 2019
Come vive, come muore, che cosa ha nella mente al momento del rendiconto un terrorista che si crede il re del mondo? "Come un cane", ha detto il presidente americano. Una definizione pesante, popolare, mirata a ristabilire il dovuto confine fra esseri umani (che possono se di necessità persino uccidere) e terroristi assetati di sangue. Trump ha descritto Al Baghdadi come uno che non solo non è un leader, ma che non è nemmeno un uomo ma un pazzo pericoloso e anche codardo, ululante di paura di fronte ai cani addestrati che lo inseguono e agli uomini delle unità K9. Nella scena che Trump ci ha rappresentato vediamo uomini che rischiano la vita per difendere tutti i cittadini del mondo dalla bestia umana che vuole ucciderli crudelmente senza discriminazione terrore. E' non "un film" ma "il film americano". Come un John Wayne del nostro tempo, Trump ha disegnato una linea di confine rispetto al terrorismo, si è mostrato pieno di orgoglio per aver tolto di mezzo il capo "della più feroce organizzazione terrorista del mondo", l'ha descrito inseguito dai cani, terrorizzato, urlante, codardo," supplicante, piangente urlante", quello che era il gran comandante avvolto nel manto nero che ordinava a Jihadi John di tagliare la testa degli infedeli preparati col camice arancione, in ginocchio davanti al boia che imponeva la sottomissione all'Islam (Trump ne ha ricordato alcuni, James Foley, Kayla Mueller, il povero ufficiale giordano bruciato vivo in una gabbia arroventata). Ha descritto di cosa è fatto un terrorista del genere, gli ha tolto ogni ragione sociale, coloniale, ogni rivendicazione: lo ha ridotto a un miserabile pazzo pericoloso che trascina alla morte con se tre dei suoi figli dopo aver tentato una fuga idiota perchè diretta in una grotta senza sbocco. Una strage di innocenti (non sappiamo l'età dei figli ancora) come quella dei sei figli di Goebbels nel bunker di Hitler.
Un' incoronazione della propria viltà è stato il suicidio, secondo quello che dice Trump; ma per un jihadista questo è un gesto classico, dovuto, che suggella il propagandato slogan: "noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita". Al Baghdadi si era nascosto a Idlib nonostante la zona fosse controllata da Hayat Tahrir al Sham, uno dei rami del terrorismo islamico non particolarmente amico dell'Isis, come Al Qaeda. Qualcuno lo copriva e lo rispettava: aveva saputo stabilire un potere territoriale (solo l'Isis!) con più di 8 milioni di persone, aveva uno Stato Islamico, aveva distrutto beni cristiani e musulmani. A Aprile in un video e poi in un messaggio registrato a settembre si appellava ai suoi adepti che si andavano raggruppando dopo la sconfitta, per esempio fra i 70mila abitanti, soprattutto donne, del campo di al Hol o gli uomini che hanno combattuto fino al 23 marzo a Baghouz sulle rive dell'Eufrate.
Al Baghdadi contava sull mondo orientale, sul Pakistan, le Filippine, l'India e sui suoi foreign fighters. Contava sulla potenza del suo messaggio che suggeriva che con le decapitazioni, le esplosioni, l'uso della violenza più impensabile la Sharia, lo Stato Islamico, alla fine avrebbero dominato tutto il mondo e non solo l'Iraq e la Siria. I terroristi sono dei combattenti molto resistenti, la loro patria è l'orrore. Il Bataclan è solo un esempio di terrore come passo avanti nella guerra globale, mentre si consolidano i confini. Al Baghdadi si era costruito tutte le credenziali necessarie, era discendente del nipote di Maometto, membro della sua tribù, e era anche stato prigioniero degli americani dal 2004 per 5 anni come ufficiale di Al Qaeda. Il suo famoso discorso di Mosul nel 2014, tutto nero nella bella Moschea di al Nouri che poi i suoi hanno fatto saltare in aria, fu un ringhio d'odio verso ciascuno di noi "miscredenti"; le sue lacrime di sconfitta non fanno pena. Fanno pena i suoi tre figli, le sue ultime vittime.