I PROTAGONISTI DEL NUOVO TERRORISMO Duecentocinquanta kamikaze pronti per la grande vendetta
lunedì 21 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IN qualche stradina segreta fra Gerusalemme e Ramallah, si è svolta
una
riunione da film dell'orrore: 250 palestinesi hanno giurato di
diventare
terroristi-suicidi per vendicare i loro compagni uccisi. Ciascuno ha
promesso di morire portando con sè almeno cinque civili israeliani
per ogni
civile palestinese, e cinque militari per ogni poliziotto. Il numero
cinque
è simbolico: è legato ai cinque poliziotti palestinesi uccisi a
Betunya la
settimana scorsa dall'esercito in un raid.Si ignora a quali
organizzazioni
fanno capo questi duecentocinquanta terroristi ormai sguinzagliati
verso i
supermarket, i cinema, i pub, i bar, tutti gli angoli più vulnerabili
della
società israeliana. Per la prima volta, ed è significativo, i
sospetti non
riguardano « Hamas» o la Jihad islamica, le organizzazioni che
tradizionalmente hanno compiuto la maggior parte degli attentati dal
tempo
del diffondersi dell'integralismo islamico, grosso modo databile
nella sua
parte più aggressiva, in questa zona, all'inizio degli anni Novanta.
L'identikit del terrorista-suicida è ormai diverso da quello del
fanatico,
ventenne, che si immola per il sogno di instaurare il regno di Dio e
di
ricevere, in ricompensa, come martire, un paradiso fatto di vino,
donne,
piaceri spirituali e anche carnali. Oggi la scelta è molto più
politica, è
socialmente diffusa e accettata da una gran parte della società
palestinese.
Il ragazzo che decide di farsi saltare in aria cercando di portare
con sè
quanti più ebrei possibile è nello stesso tempo più popolare e più
sofisticato: la sua età di arruolamento è più bassa, il suo modo di
vivere,
anche se la moschea fa parte delle sue abitudini, più moderno, il suo
linguaggio più ricco, l'abbigliamento in tutto simile a quello di un
qualunque adolescente dei nostri tempi: scarpe da tennis, maglietta
Nike, i
capelli ben curati. L’ educazione del terrorista della seconda
intifada non è
così settoriale e religiosa. Intanto, le organizzazioni come Hamas
sono
state del tutto riabilitate da Arafat, i leader messi fuori delle
carceri.
Il giovane destinato a divenire uno « shahid» , un martire, un
terrorista
suicida, potrebbe essere oggi uno di quei ragazzini che a scuola, a
Gaza, la
mattina compiono il seguente rito: l'insegnante chiede alla classe in
piedi
« Avete paura?» , i ragazzi rispondono in coro « No, chiedo a Allah di
distruggere gli ebrei» . Oppure, con lo stesso rito di domanda e
risposta, si
svolge questo dialogo: « Dov'è Mohammed?» (il bambino ucciso a Gaza
dagli
israeliani, dicono le fonti palestinesi, in uno scontro a fuoco e
divenuto
simbolo dell'Intifada). I ragazzi rispondono « In paradiso!» . Questi
riti
corrispondono anche al modo in cui i libri di testo presentano lo
« shahid» ,
come un modello da imitare. La tv palestinese mostra spesso clip in
cui
Mohammed Al Dura invita i suoi coetanei a lasciare i giocattoli e a
prendere
le pietre. Si vedono nei clip bambini che muoiono, e le loro mamme
non
piangono perché sono felici che abbiano scelto di immolarsi per la
libertà
del popolo palestinese. Tutto questo, in mezzo a un mare di servizi
sulla
stampa e alla tv che provengono da ogni parte del mondo arabo, in cui
i
terroristi suicidi sono sempre esaltati, le loro gesta festeggiate e
cantate, le loro famiglie sostenute dalla comunità ; l'israeliano è
presentato come un essere indegno, appartenente a una razza di
assassini
razzisti. Lo slogan che il « sionismo è un doppio nazismo» è ormai
un'ossessione mediologica.
La dimensione di massa del fenomeno pone a Israele problemi mai
affrontati
prima. Infatti fermare un terrorista è quasi impossibile, appena
individuato
può decidere di farsi saltare in aria. Che fare dunque quando lo si
scopre?
Stare lontano e chiamare la polizia senza farsene accorgere? Gridare
alla
gente di allontanarsi? Parlargli cercando di fargli cambiare idea?
Ieri la
polizia di Gerusalemme ha ricevuto 800 chiamate di cittadini
allarmati. Ed è
sintomatico che abbia lodato soprattutto una donna che con un gesto
di
coraggio folle, afferrando un sacchetto pieno di esplosivo, è corsa
fuori da
un pub a Gerusalemme venerdì notte senza dire una parola. Il coraggio
e il
caso hanno salvato molte decine di giovani. Come dire: non c’ è che
sperare
in bene, e far da sè . Un po’ poco per una società su cui pende la
minaccia
di 250 terroristi suicidi.