Fiamma Nirenstein Blog

I profughi, incognita sulla via della pace Da 52 anni una spina nel fianco di Israele e dei Paesi arabi

giovedì 28 dicembre 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Profughi: sulla loro sofferenza e la loro rabbia, sulle immagini delle casupole addossate senz'ordine una sull'altra dentro spazi in cui manca tutto, sulla loro forza politica presente anche nella gerarchia politica e militare di Arafat in modo massiccio, sulle stellette che si sono guadagnati pagando in termini di vite umane questa Intifada, su tutto questo rischia di arenarsi la pace migliore cui il popolo palestinese possa giungere. La pace con la sovranità su gran parte di Gerusalemme e la Città Vecchia, il 95% dei Territori, la Valle del Giordano, bastione difensivo di Israele di fronte a tutto il mondo arabo, più vari appezzamenti nel Negev. C'è un nodo logico oltre che umanitario dentro la questione dei profughi palestinesi che è basilare, e Arafat non si decide, non può scioglierlo in queste ore in cui Clinton gli chiede di rispondere positivamente all'offerta di ricevere uno Stato palestinese con Gerusalemme come capitale, come aveva sempre promesso al suo popolo. Il nodo logico è questo: Arafat sa che nel momento in cui delimita i confini del suo Stato, tutti i palestinesi sparsi per il mondo, tutti i profughi che ancora soffrono la ferita della guerra del ‘ 48 e i loro discendenti dovrebbero agognare a vivere nel loro Stato, appunto lo Stato Palestinese, e non in Israele. Ma nel momento in cui un profugo impugna il diritto di andare a vivere a Lod, dove si trovava la sua casa, nel cuore di Israele, e nel momento in cui Arafat inserisce nel cuore della sua lotta questo diritto moltiplicato per milioni, ecco che oltre a chiedere uno Stato, chiede anche che Israele diventi un Paese popolato fittamente, data la demografia, dai suoi cittadini. In definitiva, non chiude il conflitto, ma ne apre uno nuovo tendenzialmente volto a sostituire Israele. Per questo sia lo Stato ebraico sia gli americani hanno chiesto di sopperire ai diritti dei profughi permettendo le riunificazioni familiari, ma anche usando massicciamente lo strumento degli indennizzi: di questo si era molto parlato nell'accordo Abu Mazen-Beilin, e poi di nuovo a Camp David. Israele non avrebbe accettato nessuna responsabilità « legale o morale» per i profughi creatisi durante una guerra in cui era stata attaccata, ma avrebbe tuttavia aiutato la loro risistemazione in uno Stato palestinese o in qualunque altro punto del globo. La questione dei profughi ha vari stadi, ma comincia nel ‘ 48, con la guerra d'Indipendenza dopo la quale l'Onu votò la Risoluzione 194 su cui oggi i palestinesi basano la loro richiesta, e che comunque non attribuisce responsabilità . La storia e anche il documento sono, a un'accurata lettura, controversi. Oggi c’ è chi parla di due milioni, chi di tre, chi di quattro milioni di profughi. Si tratta dei discendenti di un numero di palestinesi calcolati fra 400mila e 800mila che lasciarono disperati e poveri la loro casa durante la guerra: gli israeliani mettono l'accento sul fatto che per la maggior parte essi se ne andarono in seguito all'invito pressante dei cinque Paesi arabi che attaccarono Israele subito dopo la partizione dell'Onu e la dichiarazione di indipendenza. Ma i palestinesi, sostenuti anche da un gruppo di storici israeliani « revisionisti» fra cui il più famoso è il professor Benny Morris, sostengono che comunque in svariate situazioni gli israeliani spinsero con la forza delle armi la popolazione ad andarsene. Israele fa notare anche che poco dopo i Paesi arabi cacciarono con la forza 800mila ebrei, e considerano la tragica vicenda alla stregua degli altri tragici scambi di popolazioni successivi alla Seconda guerra mondiale: il giornalista Dan Margalit cita a favore di questa tesi le vicende dei Sudeti o dello scambio di popolazione Pakistan-India, lo scrittore A. B. Yehoshua sostiene che comunque si è trattato di spostamenti minimali in termini geografici, di cultura e di lingua. La Risoluzione 194, che parla di scelta soggettiva dei profughi al ritorno « in pace» in Israele, oppure, sempre a scelta del soggetto, a ricompense da stabilire, è ormai impugnata come un'arma dai campi profughi che neppure l'accordo di Oslo ha portato in alcun modo allo scioglimento, e anche dalle organizzazioni che tali campi hanno gestito e che sono comunque il filo rosso che lega tutti rifugiati palestinesi nel mondo. Si tramanda di generazione in generazione un desiderio di ritorno che, dato il numero e i sentimenti dei profughi che ne fanno la parte più sfiduciata verso la pace del mondo palestinese, risulta in definitiva per Israele ben più intrattabile della questione di Gerusalemme. Per Gerusalemme, ne va dei sentimenti, della storia, delle radici; per i profughi, della possibilità stessa di continuare a esistere come Stato degli ebrei. La questione è sempre stata maneggiata con grande delicatezza anche da Arafat, specie nel suo rapporto con i Paesi arabi. Se si andasse a risarcimenti, si è calcolato che la Giordania riceverebbe 40miliardi di dollari: tanto richiede il Regno Hashemita per avere ospitato i profughi dal ‘ 48. In generale, l’ indennizzo previsto per i profughi sarebbe di 20mila dollari a testa, 100 miliardi di dollari per una risistemazione complessiva. Un piatto molto ghiotto per chiunque lo gestisca, che però non bilancia la paura dei Paesi arabi che una comunità palestinese insoddisfatta, e definitivamente piantata nel suo fianco, potrebbe portare seri problemi. Né placa il sogno dei profughi di tornare a casa , e anche di rappresentare la contraddizione più esplosiva e devastante per una pace.

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.