I PALESTINESI MENTRE SI CONCLUDE IL RITIRO ISRAELIANO ABU MAZEN ANNU NCIA NUOVE ELEZIONI PER IL 25 GENNAIO Gaza non basta ai duri di Hamas Gli isla mici: adesso bisogna liberare la Cisgiordania e Gerusalemme
domenica 21 agosto 2005 La Stampa 0 commenti
inviata a GAZA
È un autentico dilemma quello che si annida nella mente della gente di Gaza
nei giorni in cui gli israeliani se ne vanno. I tre missili piovuti ieri
sugli insediamenti smantellati per dimostrare alla popolazione che la
violenza vince, non sono l'unico gioco sul tavolo. La gente comune, che in
questi anni ha sofferto i check point, la miseria, il sovraffollamento, gli
espropri, la mancanza di lavoro, i morti e i feriti colpiti come effetto
collaterale della guerra che Israele ha portato ai terroristi fino in casa,
la distruzione degli edifici collegati agli attentati dell'Intifada, prova
un’ istintiva gioia, la speranza di giorni quieti e di una migliore
situazione economica e umana. E avverte un curioso straniamento nel vedere i
bulldozer che distruggono le case dei loro nemici settler.
Come dice Eyyal Sarraj, rifugiato del 1948 e famoso psicologo di Gaza che si
occupa dell’ effetto della guerra sulla mente dei giovani: « Vedere i coloni
strappati dalle loro case e cacciati, privati di tutto, scoprirli in veste
di vittime, solleva in alcuni qui lo strano senso di vivere una disgrazia
comune, di essere preda del medesimo crudele destino» .
Fra i palestinesi di Gaza balena anche la sensazione del riaprirsi di un
mondo lontano, bello e variegato, fuori della società chiusa e asfittica dei
campi profughi: qualcuno che non è stato più fuori negli ultimi dieci anni
sogna di poter finalmente fare delle cose normali, viaggiare, lavorare in
Israele. Magari a Tel Aviv, che agli occhi della gente di Gaza è un mondo a
parte, dove non ci sono settler e soldati, ma gente con cui si è lavorato,
caffè dove ci si può sedere, mangiare un panino, vedere il mondo: « Andavamo
a trovare Chaim, il padrone della panetteria dove lavoravo, anche nei giorni
di festa. E lui venne a Gaza al mio matrimonio e per la nascita dei miei
figli» , racconta Najib. Gli abitanti delle cittadine e dei campi profughi
confinanti con il Gush Kativ, a Dir el Balah come a Khan Yunis, aspettano di
rientrare in possesso della terra che appartenne alle loro famiglie. Si
ricordano con dolcezza l’ orto, le capre e anche la fase in cui era bello
lavorare fianco a fianco, ebrei e palestinesi.
Molti conservano le vecchie chiavi delle abitazioni del '48, anche se non
esistono più : sono la prova di un’ ineludibile appartenenza. Già da giorni in
queste città si festeggia e si trepida. Il sindaco di Khan Yunis, Osama al
Farrah, lavora entusiasticamente a un progetto di risistemazione di tremila
famiglie di profughi in nuovi appartamenti di 200 metri quadri: « Costruiremo
grandi case verticali, le villette col tetto rosso non fanno per la nostra
sovrappopolazione. Abbiamo già una donazione di 1000 milioni dollari dagli
Emirati Arabi Uniti per avviare le costruzioni; e anche per riavviare il
turismo, partendo dal vecchio Hotel delle Palme. Di fronte, sulle vecchie
rovine si potrebbe costruire un porticciolo. Però ...» .
Il però di Osama è quello di tutta la situazione politica: solo 146 famiglie
sulle 790 interpellate vogliono firmare il gradimento per una nuova casa
fuori dai campi dell'Unrwa. Al solito, i profughi palestinesi conservano il
loro destino per il sogno, spontaneo o indotto da una leadership che lo usa
per i suoi scopi, di tornare un giorno a Beersheba, a Tel Aviv, ad Acco da
padroni.
Su questo sentimento giocano pesantemente le varie parti politiche,
sollecitandolo e solleticandolo per i loro scopi. Ieri a Gaza City, dove si
seguita a celebrare quella che da tutti viene chiamata la « vittoria» ,
preparandosi a prendere possesso delle zone evacuate, la battaglia fra
l'Autonomia Palestinese di Abu Mazen e Hamas era visibile piazza per piazza.
Il presidente ha fatto un discorso in cui non ha rinunciato a riaffermare
che la conquista della Striscia è merito dei « martiri» , gli shahid
dell'Intifada. Poi, però , ha annunciato che l'Autonomia annetterà tutto il
territorio liberato e che mercoledì 25 gennaio si terranno le elezioni, un
dono a Hamas per evitare che si ribelli proprio adesso. Ma intanto dozzine
di uomini di Hamas, armati e mascherati, bloccavano le piazze di Gaza e una
quarantina di miliziani in nero e verde con i mitra e i lanciamissili da
spalla imbracciati ascoltavano uno dei leader, Abu Obaideh, ripetere, al
solito, che: « Lo sgombero è solo l'inizio, non la fine della nostra
conquista, abbiamo intenzione di proseguire con tutte le nostre forze
nell'attacco armato che ci ha conferito la prima vittoria» .
Mentre Abu Mazen ripeteva in piazza che « questi sono giorni di gioia e di
ricostruzione, rimetteremo in funzione l'aeroporto e rinasceranno più belle
le case distrutte; daremo il 5 per cento dei nuovi posti di lavoro ai
disabili» , a Damasco il capo di Hamas, Khaled Mashal, minacciava « guerra
all'entità sionista» ; e Mohammed Zahar, capo di Hamas a Gaza, dichiarava al
giornale londinese Asharq al Awsat: « Non riconosceremo nessun diritto di
esistenza a Israele: occupa la terra islamica che appartiene a tutti i
musulmani. La fuga degli ebrei da Gaza incoraggerà il morale di tutto il
mondo arabo e musulmano e la lotta in Afghanistan e in Iraq ne avrà una
grande spinta» . Adel Al, portavoce a Gaza, precisava la svolta strategica:
« Siamo pronti a spostare tutta la nostra tecnologia e le nostre strutture
della lotta armata nella West Bank e poi a Gerusalemme» .
Secondo l'esperto di cose arabe Khaled Abu Toameh una delle espressioni più
allarmanti sono le poesie di vittoria per le celebrazioni dell'uscita
definitiva degli ebrei da Gaza. È stata indetta una gara per pitture e canti
e mercoledì scorso è stata presentata una quantità di versi come questi del
poeta Khamis Lufti: « Nessun straniero ha durato a lungo sulla nostra terra.
La nostra storia lo testimonia. La pace con te, Israele, rimarrà una
menzogna e la tua esistenza sarà impossibile. Tu svanirai e noi continueremo
a esistere» . O questi, di Fida Awni: « Sorgi soldato arabo, la terra ha
bisogno dei suoi cavalieri! La terra desidera i nipoti di Saladino e degli
Ottomani che con le spade fondarono i loro stati» . E ancora, Ibitisam
Mustafa: « O brigate, state pronte, Gaza è tornata nostra! Preparatevi a
liberare il resto della terra, espellete i sionisti. Oh Hamas, libera
Gerusalemme con la forza dei tuoi soldati e dei tuoi razzi» . Sarebbe bello e
soprattutto molto vincolante per Israele e per la Road map se si scoprisse
fra le poesie una canzone di pace.