I palestinesi, il silenzio e la paura Arafat tace, a Gaz a temono il pugno di ferro
sabato 1 giugno 1996 La Stampa 0 commenti
GAZA SULLE strade di Betlemme, di Ramallah e di Hebron nei caffè
pieni di uomini con kefia e di giovani in maglietta, o a Gaza, fra i
poliziotti che piantonano il nuovo Parlamento palestinese dove
proprio nelle ore serali di ieri i leader discutevano la nuova
situazione, il nuovo drastico cambiamento intervenuto nella politica
israeliana, si parla solo del grande choc, dell'avvento di Bibi
Netanyahu al posto di Peres, l'uomo che ormai tutti si erano
abituati, con sentimenti svariati, a considerare il partner del
futuro stesso dei palestinesi e di Arafat, l'uomo che andava con lui,
letteralmente, mano nella mano. A Gaza, che è la casa di Arafat, le
reazioni sono più amare che altrove; il rais anche se medita
un'uscita pubblica morbida, che non rovini in partenza il rapporto
col nuovo primo ministro israeliano, sa benissimo che
Netanyahu al posto di Peres, l'uomo che ormai tutti si erano
abituati, con sentimenti svariati, a considerare il partner del
futuro stesso dei palestinesi e di Arafat, l'uomo che andava con lui,
letteralmente, mano nella mano. A Gaza, che è la casa di Arafat, le
reazioni sono più amare che altrove; il rais anche se medita
un'uscita pubblica morbida, che non rovini in partenza il rapporto
col nuovo primo ministro israeliano, sa benissimo che Netanyahu ha
seguitato fino a pochissimi giorni dal voto a ripetere persino di non
volerlo incontrare, di non fidarsi di lui, di considerarlo in buona
sostanza un complice oggettivo dei terroristi. Inoltre Bibi
certamente non è grato ad Arafat per aver tentato con tutte le sue
forze di salvare Peres; ogni giorno i due vecchi leader degli ebrei e
dei palestinesi si sono sentiti al telefono per aggiornarsi sulla
situazione della lotta al terrorismo; Arafat ha cercato con tutte le
sue forze di tener fermi gli integralisti islamici e negli ultimi due
mesi ci era riuscito, con collegamenti stretti fra i servizi delle
due parti, arresti a catena, trattative segrete di cui giungeva eco
anche fuori delle stanze dei potenti. Arafat doveva ricevere da Peres
il regalo immediato dell'evacuazione di Hebron, la città più
controversa dove 400 coloni vivono in mezzo a 150 mila arabi.
ne andranno; ma neppure se n'erano andati prima, un vecchio uomo
seduto a un caffè non alza gli occhi. Sarà lo stesso; Bibi e Peres
sono due facce della stessa medaglia. La nostra disgrazia, la nostra
oppressione.
Anche per noi sarà un disastro. Nel ruolo del ministro della Difesa
ci sarà il generale che ha più perseguitato Gaza, Yitzhak
Mordechai. E vicino a lui ci saranno Sharon, Raphael Eitan... Tutti
personaggi che ci odiano. La sinistra israeliana ha sbagliato tutto,
doveva attaccare, mordere in campagna elettorale. E doveva
soprattutto portare a termine il lavoro intrapreso. Ci lascia che non
siamo ancora né carne né pesce, senza Stato, senza Hebron, senza
Gerusalemme. Dovevano almeno finire il lavoro. Una donna col velo
bianco delle religiose e il vestito fino ai piedi, ride contenta:
processo di pace è fallito, quell'idiota tentativo di andare
d'accordo con gli amici di Goldstein. Sono assassini, devono
andarsene. Peres ha fatto uccidere l'Ingegnere Yehie Ayash: i miei
figli - dice la donna - seguiteranno a vendicarlo finché tutti gli
ebrei non spariranno dalla zona. Però si trova anche per strada
qualcuno che dice che Bibi forse sarà migliore di Peres:
energico; più giovane, ha più forza, ci dice un venditore di
frutta al mercato.
meglio di Peres. Nel suo studio di medico a Gerusalemme Est Hamad
Tibi, il quarantenne portavoce di Arafat in Israele, è terribilmente
angosciato. Pallido, sorpreso, parla ogni minuto concitatamente al
telefono in arabo. I suoi compagni palestinesi più impegnati nel
dialogo con Israele come Sofian Abu Zayde, appunto il responsabile
per l'Autonomia dei rapporti con lo Stato ebraico, hanno già
dichiarato che queste elezioni potranno essere addirittura portatrici
di sangue, che possono fermare tutto il processo di pace. E Tibi? Ha
parlato oggi con Arafat? . E che cosa dice?
posizione ufficiale uscirà tra poche ore; posso però dire che
Arafat era molto legato umanamente a Peres. Hanno fatto insieme il
trattato di Oslo, a quattro mani; hanno preso il premio Nobel
insieme. Hanno fondato insieme una nuova era. Hanno impostato il loro
rapporto su una base umana. E Netanyahu invece, ha ripetuto tante
volte che non avrebbe mai voluto incontrare Arafat...
Netanyahu, nel suo nuovo ruolo acquisti quel senso di responsabilità
che purtroppo nella campagna elettorale non ha davvero dimostrato.
Qui siamo di fronte a due popoli nel pieno di una vicenda
delicatissima... Speriamo che Netanyahu non distrugga gli storici
passi che abbiamo compiuto insieme ultimamente. C'è nell'aria la
possibilità che Netanyahu non liberi Hebron; e che se ci saranno
altri attentati rientri con le truppe all'interno dell'Autonomia
palestinese.
spazio a Sharon che ha già dichiarato che non restituirà Hebron, se
non rispetterà il trattato di Oslo e i patti sanciti, sarà il
disastro.... È possibile - ripete Hamad Tibi - che il Likud ci
porti al disastro, sì , è possibile che tutto sia finito. Io però
spero davvero che il nuovo ruolo attribuisca a Netanyahu nuove
caratteristiche, che lo renda più responsabile del destino di tutti.
Quanto ad Arafat: per lui al primo posto c'è e c'è sempre stato il
processo di pace. Questo era il suo primo pensiero e lo resta
tuttora, anche con Bibi primo ministro. Fiamma Nirenstein