I fratelli-nemici obbligati a trattare
lunedì 11 settembre 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
FINALMENTE un gesto pragmatico, una scelta di pace dopo tante
affermazioni
ideologiche dure: Yasser Arafat e con lui tutto il parlamento
palestinese
hanno deciso di rimandare la proclamazione unilaterale dello Stato
Palestinese accettando così le regole del consenso internazionale.
Nelle
settimane passate, a Camp David e poi a New York, il rais aveva
offerto una
disperante immagine di astrattezza: il fatto che la Gerusalemme
celeste
fosse finalmente scesa sulla terra e che si fosse affrontato per nome
sia il
problema della Spianata delle Moschee e del Monte del Tempio,
dapprima aveva
suscitato entusiasmo. Mai un Primo Minsitro israeliano aveva messo
sul
tappeto delle trattative una così evidente disponibilità a dividere
Gerusalemme. Ma Yasser Arafat, dopo molti tentennamenti aveva
rifiutato
l'accordo migliore che gli fosse mai stato offerto, in questo spinto
da
un'opinione pubblica interna intransigente, e dal mondo musulmano
intero.
Adesso, l'esplicito consiglio sia americano che europeo a non entrare
con la
proclamazione unilaterale in uno stato di conflitto ha rinfrescato
una
considerazione consolidatasi nel ‘ 93 con l'accordo di Oslo e espressa
ieri
da uno degli uomini più vicini ad Arafat, Abdallah Horani: « Non si
può fare
diversamente» . Non esiste in Medio Oriente nessuno spazio per
ricominciare
l'Intifada, o per combattere a colpi di terrorismo. Questa fu
l'ispirazione
della Pace dei Bravi, questa è la scelta a cui sembra almeno in parte
tornare . Non esiste più lo spazio per il conflitto armato, il mondo
non
tornerà mai a essere diviso in blocchi, e l'Islam deve moderare la
sua
intransigenza pena l'isolamento. Si riapre davvero la trattativa.