I DUE CARI NEMICI Dall’ utopia alla Storia, dopo il tonfo nel Golfo E logio di Arafat
sabato 11 settembre 1993 La Stampa 0 commenti
CHISSÀ che effetto fa a Yasser Arafat, vedersi ritratto a tutta
pagina, sorridente, sui giornali israeliani del venerdì con la
piega della kefiah in primo piano, insieme alla moglie Suha nella
casa di Tunisi. Ostentato, rivelato in lungo e in largo quasi che la
mente del vecchio nemico volesse palparlo, sentire che il demonio è
diventato infine l’ interlocutore, l’ artefice in carne e ossa,
con Rabin, della storia futura d’ Israele. Ci vuole del coraggio ad
abbandonare il proprio mito, il teatro del mistero e anche del
sangue, la pretesa del consenso del salotto rivoluzionario
terzomondista per entrare nel giuoco compromissorio e incerto della
Storia. Significa per Arafat lasciare la via dell’ incredibile e
dell’ eroico per quella dei mille problemi concreti che la firma del
riconoscimento del nemico gli impone. La sua intera identità , da
quando nel 1967 scelse la strada della contrapposizione frontale del
terrorismo, si è basata su una dimensione mitologica cui Arafat,
riconoscendo il nemico, oggi rinuncia. Perfino la sua nascita nel
1929 è avvolta nel mistero: chissà se fu a Gerusalemme, a Gaza, a
Gerico, al Cairo? I suoi biografi sono incerti. L’ intera sua
esistenza è funambolica: sia fisicamente che politicamente Arafat
è morto molte volte. Con la sconfitta del ‘ 67, col Settembre Nero
del ‘ 70, con gli accordi di Camp David del ‘ 79, con la cacciata da
Beirut dell’ 83, con l’ accordo Peres re Hussein dell’ 87, con l’
incidente aereo nel deserto libico, con la sconfitta di Saddam
Hussein cui incredibilmente Arafat si alleò nel 1990 per perdere
credito e finanziamenti sostanziali in tutto il mondo arabo. È una
grande mossa politica e concettuale il colpo di reni con cui Arafat
ha saputo superare l’ impasse che tutti pensavano mortale, il modo
in cui ha schivato la triplice contestazione che gli viene dalle
varie fazioni dell’ Olp (dai palestinesi dei Territori e della
delegazione di Washington, da quelli giordani e dai funzionari di
Beirut); la sfida che ha lanciato ai suoi nemici mortali Ahmed
Jibril, Abu Nidal e agli integralisti islamici, che, anche secondo i
maggiori esperti israeliani, sono decisi ad ucciderlo e capaci di
farlo. Nella mossa di Arafat si scorge molto di più del desiderio
di recupero personale, e della volontà di restare nella Storia come
l’ unica vera anima creatrice del popolo palestinese. Al di là di
questo infatti balugina agli occhi del mondo per opera del capo
dell’ Olp qualcosa che desta il maggior stupore fra gli israeliani:
oltre il terrorismo, oltre la fenomenologia palestinese, l’
Intifada, la grande capacità pubblicitaria e mediologica del
leader, oltre il trasformismo alle volte disperato e alle volte
geniale, c’ è un nocciolo duro che è tipico solo dei movimenti
nazionali autentici. Israele e il mondo sono stati messi di fronte a
questo dall’ ultima mossa di Arafat. È da questa autenticità che
Arafat ha tratto in quest’ ultimo anno, durante i colloqui di pace,
la forza del politico che quando intravede l’ appuntamento con la
Storia non si fa distrarre dalle contestazioni: così fece
Stresemann nel ‘ 25 ai Patti di Locarno con la Francia, così De
Gaulle con l’ Algeria nel ‘ 58, Begin e Sadat a Camp David e oggi
Rabin e Yasser Arafat. Fiamma Nirenstein