I BURATTINAI CHE SOFFIANO SUL FUOCO DELLA VIOLENZA IN MEDIO ORIENTE A SCUOLA DI TERRORISMO Iran, Siria e i palestinesi
lunedì 30 settembre 2002 La Stampa 0 commenti
LA pace fra israeliani e palestinesi ha incontrato difficoltà molto
più
grandi dei loro confini: un grande « no» risuona lungo il fronte duro,
quello
iraniano-siriano-libanese degli Hezbollah. Infatti la rete
terroristica che
ha agito contro Israele durante questa guerra lunga due anni non
chiude le
sue maglie nella West Bank e a Gaza: essa, secondo un'alta fonte di
security
israeliana, è ben più vasta e imponente dal punto di vista
geografico,
politico, economico. Un ponderoso documento venuto in possesso
esclusivo de
« La Stampa» e del programma Sixty Minutes della CBS - basato sugli
interrogatori di membri di tutte le organizzazioni palestinesi
(Fatah,
Tanzim, Brigate di Al Aqsa, Hamas, Jihad islamica, Fronte di
Liberazione)
catturati durante l'operazione Scudo di Difesa e sugli interrogatori
dell'equipaggio della Karin A e di altri vascelli carichi d'armi
dirette
verso le coste dell'Autorità Palestinese - dà concreta evidenza
dell'intimo
rapporto tra le azioni terroriste di questi ultimi due anni compiute
in
Israele e nei Territori e il ruolo della Siria e dell'Iran.
Dalle testimonianze si individuano nessi svariati: soldi, armi,
supporto
ideologico, training sul loro territorio. Hamas e la Jihad risultano
le
organizzazioni palestinesi più attive nel rapporto internazionale. Lo
sfondo: mantenere un asse radicale in Medio Oriente, tenere Israele
sotto
sferza, mantenere aperta l'ipotesi della sua sparizione, rafforzare
(secondo
il desiderio dell'Iran, legato alla Siria tramite gli Hezbollah in
Libano)
il partito islamista. Queste strategie implicano la distruzione di
ogni
processo di pace attraverso la libanizzazione della zona. Il
programma,
oltre che da una quantità di interrogatori inediti, è anche
testimoniato da
numerosi documenti pubblici, statement, discorsi, articoli, che non
fanno
mistero del supporto al terrorismo descritto come lotta di
liberazione.
Ci limitiamo a due esempi, tra i molti collezionati dalle nostre
fonti. « La
Siria - dice per esempio Radio Damasco - nel marzo 2002, proprio
quando gli
attentati erano al picco, si è trasformata in un rifugio e un
deposito di
armi per i palestinesi rivoluzionari» . « L'unica risoluzione della
crisi -
dichiara per parte sua il leader iraniano Ali Khamenei - è
l'eliminazione
della radice, il regime sionista imposto sulla regione» . E, dunque,
secondo
i documenti che ci sono stati presentati, non si tratta di
propaganda:
l'impegno a fianco della parte più estrema della lotta palestinese è
sostanziato dal passaggio di armi diretto e indiretto (tramite gli
Hezbollah, o consegnate direttamente ai palestinesi), dal passaggio
di
ingenti somme di denaro tramite banche locali, dal training diretto
di
terroristi, persino con raddoppi per aggiornamento, da un aiuto
strategico
che talora si configura addirittura come indicazione diretta di
« procedere»
o « fermarsi» negli attentati.
Jibril Rajub (ex capo della polizia palestinese) racconta - o forse,
nelle
sue intenzioni, denuncia - in un documento del 31 ottobre 2001
diretto ad
Arafat che incontri intensivi fra Hamas, Jihad e Hezbollah hanno
luogo a
Damasco « per incrementare attività congiunte con l'aiuto di denaro
iraniano» , dopo che « un messaggio iraniano è stato passato ai leader
delle
organizzazioni, secondo il quale non si deve permettere il calmarsi
della
situazione al presente. Si richiede quindi di compiere attacchi
suicidi
contro obiettivi israeliani a Gaza, nei Territori e in Israele» .
Alcuni militanti trovano supporto terroristico diretto in Siria,
presso le
loro organizzazioni ospitate a Damasco. Ali Saffuri di Jenin, 40
anni, e
Thabet Azmi Suleiman Mardawi di Arraba, vicino a Jenin, arrestati nel
corso
dell’ operazione « Scudo di difesa» e coinvolti nell’ attacco terrorista
della
stazione centrale di Haifa e in altri sei attacchi suicidi (alcuni
riusciti,
altri falliti), riferiscono di contatti costanti con il segretario
generale
della Jihad Islamica Palestinese, che risiede a Damasco, con cui
hanno
discusso abitudinariamente « la politica degli attacchi terroristici e
delle
rivendicazioni, le richieste di denaro, istruzioni e produzione di
armi» . I
due raccontano che dopo l'11 settembre 2001 ricevettero istruzioni di
non
compiere attacchi per un certo periodo; e dopo l'assassinio del
leader delle
Brigate di Al Aqsa, Raed Karmi, arrivò invece l’ ordine di riprendere
gli
attacchi dentro Israele.
L'ipotesi dell'intelligence israeliana è che, facendo leva sulle
necessità
logistiche delle organizzazioni palestinesi basate in Siria e in
Libano, la
Siria abbia parte nelle decisioni. Anche Muhammad Mahmoud Isma'il
Barawish,
comandante dell'area di Hevron, ha raccontato di aver ricevuto la
richiesta
di diventare il comandante della Jihad Islamica della sua zona
dall'emissario dell'organizzazione a Damasco. Per reclutare uomini e
« riprendere attacchi di qualità » Barawish ha detto di aver ricevuto
7000
dollari e, successivamente, cinque o sei trasferimenti di denaro per
un
totale di più di 100 mila dollari. Dopo ogni attacco, Barawish
chiamava al
telefono i suoi contatti a Damasco.
Alcuni terroristi hanno raccontato nell'istruttoria di aver ricevuto
l'indicazione di perpetrare attacchi catastrofici: due membri del
Fronte
Popolare di Liberazione, Rami Fuzi Sa'id Katuni e Samah Mahmoud Salim
Jibril
- reclutati a Nablus e istruiti in Siria - prima di ripartire hanno
ricevuto
ordini precisi per attacchi suicidi, incluso uno in grande (dopo le
Twin
Towers negli Usa) ai grattacieli Azrieli a Tel Aviv. I due avrebbero
conferito anche con ufficiali locali dei Servizi. Di là furono
mandati nel
campo di preparazione « 17 settembre» , a 45 minuti da Damasco. Lì
hanno
imparato (riportiamo ciò che Israele presenta come loro deposizioni)
a
preparare cariche esplosive, detonatori, esplosivi a scoppio
ritardato, e
hanno studiato la produzione e l'operatività delle cinture esplosive.
Nell'ufficio della loro organizzazione hanno pianificato l'attacco di
terrorismo catastrofico alle Torri Azrieli (non riuscito) con un'auto
bomba.
Hanno ricevuto la promessa di essere muniti di armi e di esplosivi,
di
essere aiutati nella logistica dell'attacco da arabi israeliani e
attivisti
di Nablus.
Molti attivisti vengono reclutati nelle università in Siria, Yemen e
Sudan,
poi mandati per il training in Siria e in Libano, dove imparano anche
tecniche di rapimento. Da questi interrogatori, secondo gli
israeliani, si è
potuto risalire anche ad alcune cellule coinvolte negli attacchi di
Natanya
a Pasqua, che fecero più di 30 morti e 100 feriti.
Il denaro spesso è di origine iraniana, il più ricco fra i Paesi
coinvolti
nella vicenda: l'estremismo siriano e la bellicosità degli Hezbollah
potrebbero poco o niente senza il coinvolgimento dell’ Iran, che ha un
carattere ideologico ed economico, oltre che di fornitura diretta e
indiretta di armi. Punta sulle organizzazioni più religiose come
Hamas e la
Jihad Islamica, ma include anche Fatah - una novità , quest'ultima,
che
compare solo dopo i primi mesi di Intifada, quando l'Iran smette di
accusare
il rais di essere amico degli israeliani e degli americani. Utilizza
canali
diretti di trasferimento di armi (come nel caso della nave Karin A),
passa
attraverso organizzazioni come gli Hezbollah oppure sposta grandi
fondi.
Un rapporto della sicurezza palestinese del 10 dicembre 2000, poco
dopo
l'inizio dell'Intifada, indica (e di nuovo, probabilmente, denuncia,
dato
che i fondi vanno direttamente nelle mani dei gruppi antagonisti al
Fatah di
Arafat) che Az Al Din Al Qassam (il braccio terrorista di Hamas) ha
ricevuto
400 mila dollari nei primi tre mesi di Intifada, e che gli iraniani
avrebbero trasferito un assegno da 700 mila dollari alle fazioni di
opposizione per incoraggiare gli attacchi contro obiettivi
israeliani.
Secondo i documenti forniti, in Siria ci sarebbero numerosi campi di
addestramento. Prendiamo le storie di Muhammad Abd Al-Malk Abd
Al-Qaed Al
Hur di Surif, un attivista di Hamas, oppure di Nasser Mahmud Ahmed
Aweis, un
membro delle Brigate dei martiri di Al Aqsa del Fatah. I due uomini
sono
stati arrestati e interrogati durante l'Operazione Muro di Difesa di
Fatah.
Il primo, nel maggio del 2001, dice a un amico di voler entrare nel
braccio
militare di Hamas per compiere un attacco suicida. Ad agosto l’ amico
lo
manda in Siria, dove con altre tre reclute viene avviato a un campo
di
preparazione del Fronte Popolare di Liberazione Palestinese. Qui gli
insegnano a usare pistole e coltelli, ad attivare vari esplosivi, a
costruire circuiti elettrici, a camuffarsi.
Completato il training, Muhammad passa in Arabia Saudita, quindi in
Siria e
in Giordania, dove incontra il suo capo operativo, un attivista di
Hamas. Un
suo amico, Majdi Abd Al-Azim Sadeq Tabesh, ha compiuto addirittura
uno stage
in due parti, con esercitazioni pratiche nelle strade della capitale
siriana. Oggetto delle lezioni: esplosivi, bombe a scoppio ritardato,
l'attivazione di bombe tramite telefonini e produzione di congegni
improvvisati. Aweis, del campo profughi di Balata, vicino a Nablus,
ha già
nel suo curriculum dozzine di israeliani uccisi(nella sala dei
banchetti a
Hedera (17 gennaio 2002), a Gerusalemme (22 gennaio 2002), a Natanya
(9
marzo 2002). Nel giugno 2001 prende contato con Munir Al Maqda, un
famoso
organizzatore-terrorista palestinese di stanza in Libano. Ogni tre o
quattro
giorni i due si sentono per telefono o per Internet. Nasser riporta
ogni
volta dettagli di attacchi terroristi. Al Maqda gli chiede, secondo
Aweis,
di compiere attacchi simultanei. Ogni una o due settimane gli manda
7000
dollari, che vengono utilizzati per il gruppo terrorista di Nasser.
Aweis
dice di aver ricevuto in tutto fra i 40 e i 50 mila dollari. Al Maqda
propose anche di mandare direttamente un terrorista suicida dal
Libano, ma
Aweis lo ritenne politicamente improduttivo.
L'aiuto dell'Iran, meno capillare, risulta però dal documento
strategico per
l'escalation del conflitto. Omar Alawi, il comandante della Karin A
(la nave
intercettata mentre si dirigeva verso le coste palestinesi con un
carico di
armi a lunga gittata, per creare un modello libanese nell'Autorità
Palestinese), inizialmente avrebbe dovuto essere in Iran nel luglio
2001 per
organizzare la spedizione. Poi però fu deciso che fossero gli
Hezbollah a
occuparsi della prima fase: la nave arrivò sulle spiagge iraniane,
all'Isola
di Kish, il 9 dicembre 2001, e i contenitori furono caricati mentre
un
iraniano con una telecamera filmava il carico. Salam Mahmud Sankari,
il
capitano, ha ammesso di essere stato istruito in Libano dagli
Hezbollah
sulla gestione del carico tenuto in contenitori subacquei. La Karin A
conteneva sistemi di armamento « force multiplier» , inclusi proiettili
e
rampe da 107 e 122 millimetri, con 20 Km di gittata. Se fossero
arrivati sul
territorio palestinese, avrebbero cambiato le dinamiche
dell'Intifada,
permettendo di sparare a distanza nelle città israeliane, come fanno
gli
Hezbollah al Nord. Le armi, secondo gli israeliani, costarono due
milioni di
dollari: soldi che Hezbollah passarono ai palestinesi, dopo averli,
secondo
gli israeliani, ricevuti da una fonte iraniana.
Altri quattro tentativi di introdurre armi su navi, tramite gli
Hezbollah e
il Fronte Popolare di Liberazione, furono bloccati. Fra questi, il
più
famoso è il caso Santorini: i marinai raccontarono che la nave, di
origine
siriana, era stata ribattezzata come nave libanese, e i segni
dell'origine
cancellati da ogni sedile. Jihad Jibril, il figlio, ora scomparso,
del
leader del Fronte, era incaricato dei rapporti con i palestinesi
dentro
l'Autorità Palestinese.
Questa è solo una parte dei contenuti del rapporto: si evince che,
anche se
ci sono stati passaggi di armi e di aiuto alle organizzazioni dei
Martiri di
Al Aqsa - parte del Fatah - gli aiuti sono andati per lo più ai
gruppi
estremisti. In un rapporto della polizia trovato fra le carte -
quello del
10 dicembre 2000 firmato dal Dipartimento Generale di polizia e dal
distretto di Betlemme - si dice che i leader di Hamas in Libano,
secondo una
decisione dei « saggi religiosi musulmani» , « riceveranno direttamente
i fondi
popolari raccolti» , e l’ Autorità palestinese non ne vedrà un
centesimo.
Un'altra curiosità : i prigionieri raccontano di centinaia di migliaia
di
dollari annunciati, che sono invece rimasti per strada, scomparsi.