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HAMAS RIVENDICA L’ ATTENTATO CON UNA TELEFONATA ALLA TV AL JAZIRA: LA NOSTRA PRIMA RISPOSTA ALL’ UCCISIONE DI SALEH SHEHADEH Bomba all’ università di Gerusalemme: 7 morti Novantasei feriti, quasi tutte straniere le vi ttime

giovedì 1 agosto 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Alberi e vento, il deserto oltre il muro punteggiato di cittadine arabe e insediamenti, quaranta gradi di temperatura. All'una e mezza, l’ ora della mensa, uno scoppio nell'edificio « Frank Sinatra» , la caffetteria più popolare dell'Università Ebraica di Gerusalemme: piena di studenti sotto esame, di ragazzi stranieri in visita, di professori e ospiti. Tutto vola nel sangue. Ricoverato per ustioni all'Ospedale di Har Hatzofim ustionato, Jossi Chaim racconta: « Sono volato in un tunnel nero e bollente, fra schizzi di sangue, membra umane, buio e luce insieme; i vetri mi hanno colpito, le seggiole e i tavoli si confondevano col soffitto» . Piange: « Chissà perché io sono vivo e i miei compagni sono morti» . Sette morti, tutti ragazzi, 96 feriti di cui 11 molto gravi, uno in fin di vita. Nessuna traccia del terrorista, che stavolta non è un kamikaze, ma qualcuno che è riuscito a posare su un tavolo al centro della caffetteria, in mezzo a tutti quei ragazzi innocenti, una borsa piena di tritolo e poi se n’ è andato. Arafat ha condannato l’ attentato, Hamas (che ha usato qui una raffinata mistura di tritolo, chiodi e fosforo, per fare una migliore strage) l’ ha rivendicato con un comunicato inviato all'emittente Al Jazira: questa è « una prima risposta» all'uccisione di Saleh Shehadeh, il capo militare degli integralisti di Hamas ucciso nel raid aereo israeliano del 22 luglio a Gaza. « Altri attentati» seguiranno presto. « Sarà molto più difficile, senza il corpo, scoprire la provenienza del terrorista» , dice Shlomo Aronisky, affranto capo della polizia, chiamato a rispondere delle sue azioni dopo che ieri i servizi dell'Interno (lo Shabbach) avevano annunciato che ci sono 60 attentati in preparazione. Com’ è possibile che non si sia impedito un attentato in una Università che è un'enclave praticamente dentro la Giudea e la Samaria, fra Gerusalemme Est e il deserto, con il villaggio arabo di Al Sawia confinante? « L'Università è molto bene sorvegliata» . Aronisky, che da poco ha avuto un infarto ed è tornato al lavoro da un paio di mesi, cerca di restare calmo mentre si aggira tra i morti e i feriti. « Ma l'attentato, proprio per la sua vile onnipresenza, non è interamente prevenibile, neppure da noi che ci spezziamo il corpo e l'anima per farlo» . Un ragazzo con la faccia piena di sangue guarda una collega piena di chiazze nere di bruciatura che, collegata a una flebo, viene portata via di corsa da quattro volontari della Stella di David Rossa. E poi un'altra e un'altra, via di corsa verso le ambulanze ululanti, lungo un vialetto di mirto, fuori dall'ex paradiso di Mount Scopus, uno dei campus più rinomati del mondo, e anche uno dei più belli. Il ragazzo, Jonatahan, non crede ai suoi occhi: « Io pensavo che non sarebbero mai arrivati a questo, un attentato dove ci sono tanti studenti e tanti lavoratori arabi. Pensavo che almeno questo dovesse dissuadere anche il più furioso terrorista: i suoi fratelli sono in mezzo a noi» . Lo ripetono in tanti: non credevamo mai. Il vicedirettore dell'Università , il professor Menachem Megidor, fermo davanti alle grandi vetrate sfondate, poco lontano da un tronco di essere umano che ancora non è stato sgomberato dai religiosi, mentre i telefonini di tutti i ragazzi suonano all'impazzata, suoni di famiglie impazzite di paura, spiega: « Noi abbiamo sempre preso molto sul serio la minaccia di un attentato nel Campus. Ci sono due cinture di guardie, sappiamo che l'Università è un simbolo, è nata prima ancora dello Stato d'Israele, Ben Gurion la volle costruire prima delle case, prima delle banche e degli ospedali» . Va bene, ma sulla porta della caffetteria non c'era sorveglianza. « E' vero - ammette il vicedirettore - oggi non c'era, ma in genere c'è . Il fatto è che abbiamo cercato di non blindare un luogo in cui circolano migliaia di studenti e di lavoratori ebrei, arabi e di tutto il mondo. Questa caffetteria era, in particolare, il luogo in cui si ritrovavano gli studenti stranieri. Si deve pur vivere, sentirsi liberi, resistere al terrore anche psicologicamente» . C’ è una ragazza italiana, Angela Guidi, fra i feriti. Tra i morti ci sono tre americani, un francese e due ragazzi provenienti addirittura dal Nord Corea. Seduta nell’ angolo della caffetteria distrutta, una ragazza giapponese che parla ebraico correntemente si dispera: « Cerco di identificare nella mia memoria qualcuno o qualcuna che avesse l’ aria del terrorista: ma vedo davanti ai miei occhi solo ragazzi perfettamente normali che entravano e uscivano, tanti con le borse dei libri in mano. E mi domando: come può un ragazzo vedere tanti suoi coetanei e desiderare di ucciderli?» . Fra gli uccisi dovrebbe esserci una sola ragazza israeliana, mentre tutti gli altri sarebbero visitatori stranieri. Ma finché tutti i genitori non saranno stati avvertiti, non è dato conoscere l’ identità dei giovani assassinati. Uno studente arabo e un ragazzo ebreo si tengono abbracciati, il palestinese ripete ai giornalisti: « Sono contrario agli attacchi terroristi, noi siamo amici, studiamo, insieme...» . In realtà , con l'Intifada, i rapporti si sono fatti molto tesi. La polizia israeliana ha fermato ieri per ore parecchi ragazzi e lavoratori arabi nel campus, ma la ricerca non ha dato risultati. Si dice però che per portare a termine quell'operazione ci volesse qualcuno che conoscesse bene le abitudini e le strade del campus. Nelle settimane scorse era uscito sul giornalino dell'Università un articolo con ironiche foto che dimostravano l'enorme facilità , per un terrorista, di infiltrarsi scavalcando il basso recinto che separa dalla strada. E' accaduto, e di nuovo i padri seppelliscono i figli mentre un mondo impazzito promette nuovi attentati. La televisione israeliana ha mostrato in diretta immagini di manifestazioni di gioia a Gaza, con un’ ampia partecipazione di bambini anche molto piccoli ai quali venivano distribuite caramelle, come si fa nelle occasioni particolarmente gradite e come tante volte si è visto fare ai funerali dei terroristi suicidi.

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