Hamas quarto giocatore al poker con Madeleine
venerdì 12 settembre 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Quindici anni fa Madeleine Albright venne
come visiting professor all'Università di Gerusalemme, e mentre con
un gruppo di colleghi si trovava sulla spiaggia del Lago di
Tiberiade, decise che faceva un gran caldo. Tutti erano d'accordo, ma
nessuno aveva il costume da bagno. Nemmeno Madeleine. Ma Madeleine
aveva deciso: dunque fra lo stupore generale si spogliò fino a
restare soltanto con le mutandine e si buttò nell'acqua. È pura
verità , le testimonianze sono molteplici e insospettabili. Se non
fosse così , si potrebbe pensare a una parabola; perché quello che
la Albright sta facendo in questi giorni in Israele con una
generosità che rasenta la temerarietà , è proprio gettarsi nuda
nell'acqua fredda. Nel farlo dimostra una vitalità e una fede che la
porta a una spola frenetica tra Bibi Netanyahu e Yasser Arafat,
mentre nei ritagli di tempo compie decine d'incontri e pronuncia
discorsi nell'intento dichiarato di parlare direttamente di pace alla
gente. Ieri, durante il secondo incontro con Bibi e il primo con
Arafat (il secondo si svolge oggi) la Albright li ha rimproverati
tutti e due direttamente: ha cercato di scuoterli toccandoli nei loro
punti deboli. Perché se dice ad Arafat che la lotta al terrorismo è
un lavoro che richiede 24 ore al giorno tutto l'anno, e non si può
farlo quando fa comodo politicamente lasciando che le carceri abbiano
porte girevoli; d'altra parte, dice la Albright a Netanyahu, che cosa
c'entra la lotta al terrorismo con una politica che affama i
palestinesi, destando la loro ira tanto che il terrorismo di Hamas
diventa apprezzabile, perfino desiderabile? La Albright ha ragione,
ha tutte le ragioni del mondo: probabilmente l'unica maniera di
rimettere in moto la pace è dare a Israele la speranza, almeno
quella, che i ragazzi possano andare a scuola la mattina senza
rischiare la vita; e ai palestinesi la speranza di una vita che valga
la pena di essere vissuta, una vita normale. Ma la Albright certo non
dimentica, sarebbe ingenuo il pensarlo, che c'è un quarto
interlocutore seduto al tavolo delle trattative, che si sta facendo
idealmente una bella risata, a meno che la Albright non abbia un
coniglio nel cappello. Hamas infatti, mi raccontano in presa diretta
alcuni amici palestinesi che vivono nel campo profughi di Deheshe, in
piena Betlemme, è sempre più forte, controlla ormai dalla culla
alla tomba attraverso istituzioni caritative, asili, scuole,
organizzazioni femminili e ricreative circa il 40 per cento
dell'opinione pubblica palestinese.
tre, ad Hamas non importa un bel niente - dice uno degli
interlocutori -. Essi sono ormai insediati saldamente persino in seno
alla polizia di Arafat. Lui deve tenerseli buoni, nella speranza che
non lo attacchino frontalmente. E loro non hanno fretta, ogni
attentato lavora a loro favore. Si concentrano sulla preparazione dei
terroristi suicidi. Ne hanno ormai sempre di più , come si vede dal
fatto che ne hanno "sprecati" tre nell'ultimo attentato. La
Albright è perfettamente consapevole di questa situazione: quindi
c'è qualcosa nella trattativa che si svolge in questi giorni che ci
sfugge, che avviene ma non si vede, o almeno non si vede ancora.
Possiamo fare tre ipotesi: può essere che la Albright nei suoi
colloqui a quattr'occhi con Arafat gli chieda sì di darci dentro
contro il terrorismo, ma che gli prometta anche di fornirgli mezzi
per farlo, sia politicamente che in senso pratico. Politicamente:
pare che Neta nyahu abbia detto a Madeleine di essere pronto a
smettere di costruire se si vedrà una mossa dura contro Hamas, per
esempio scovare i colpevoli e le strutture di supporto degli ultimi
attentati, che pare siano totalmente nuove, indipendenti, più forti
del solito. Dal punto di vista pratico, la Albright potrebbe fornire
intelligence e aiuti militar-polizieschi a un Arafat altrimenti ormai
spaventato. Seconda ipotesi: la Albright ha contatti segreti con
Hamas e qualcosa le suggerisce la possibilità di ottenerne perlomeno
una tregua temporanea. Questo potrebbe avvalorare la terza ipotesi:
la Albright ha buone speranze di farcela a stabilire una prospettiva
di pace con Assad di Siria e anche con il Libano, che dipende
completamente da lui. Si dice infatti che il Presidente siriano sia
disponibile a sfruttare questa occasione per far avanzare i suoi
rapporti con Netanyahu, già impostati tramite un emissario segreto
nei giorni scorsi. Per ora l'unica cosa evidente nella visita della
Albright è che fa una grande fatica a mantenere un equilibrio tra le
due parti. A Yad Va Shem, il Museo dell'Olocausto, il suo sguardo e
le sue parole erano veramente commosse. Le memorie della sua
identità perduta fanno capolino, si chiudono sotto un battito di
ciglia, e i palestinesi la scrutano preoccupati. Fiamma Nirenstein