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Ha ricordato il marito dosando commozione e politica e ha chiesto sim patia per il popolo ebraico Leah ambasciatrice di pace La vedova Rabin a Roma, oggi visita il Papa

giovedì 14 dicembre 1995 La Stampa 0 commenti
ROMA NOSTRO SERVIZIO ROMA. Respira per lui, cancella il nulla che la aspetta a Tel Aviv, nell'attico pieno di luce dove Yitzhak Rabin non si sveglierà mai più insieme a lei, camminando per le vie di Roma. Leah Rabin, la vedova del primo ministro assassinato il 4 di novembre, scende dall'aereo all'alba all'aeroporto di Fiumicino. preso una pillola, ho dormito quasi tutta la strada da New York fino a qui racconta pacata, ingioiellata, truccata, diritta come se questo dovesse spiegare qualcosa. E invece capirla fino in fondo non è possibile quell'energia e anche tutto quel tatto, quel senso della politica che ormai scorre, insieme alle lacrime, quando Leah nel primo pomeriggio già comincia a parlare, assediata dalle tv, dalle domande di chi vuol sapere se il processo di pace continuerà e che cosa mangiava Yitzhak a colazione. Compare nel corridoio del primo piano del Grand Hotel, accompagnata dall'ambasciatore Yehuda Millo. Poco lontano i figli: Daliah, identica al padre, e Yuval. E dietro il consigliere-amico del marito assassinato, Shimon Sheves, ormai trasferito in forze alla grande impresa di Leah, far vivere Yitzhak e il suo disegno di pace. Appare nelle luci rosate e soffuse dell'albergo, vestita con un bel tailleur color fango, ingioiellata, ha una carezza e un sorriso per tutti quelli che riconosce. Ormai come a una rockstar chi l'avvicina anche per un attimo le sussurra: , in italiano, e lei balena un sorriso sempre più simile a quello di Yitzhak, breve, un po' di traverso. E poi fa quello che, con la storia controversa e feroce che ha avuto, nessun israeliano in missione all'estero ha mai osato fare: esige simpatia per il popolo ebraico, parla della vita (47 anni fianco a fianco) sua e del marito come di una guerra continua in cui l'ideale umanistico d'Israele non è mai andato perduto, checché possa sembrare, e l'obiettivo della pace, anche nei momenti della difesa estrema, era sempre il lied, il motivo dominante. Lo ripete in tutte le interviste romane, prendendo fiato solo per una passeggiatina in cui guarda le vetrine del fastoso centro natalizio (in Israele non c'è neppure una lampadina) e poi al Tempio Ebraico, dove la comunità l'ha abbracciata con grande passione e quasi rivendicandone la proprietà . La sera affronta il grande exploit in cui il popolo italiano è tutto intero rappresentato dal Presidente della Repubblica ma anche dai presidenti della Camera e del Senato, dai politici tutti in fila, da D'Alema a Fini, oltre, naturalmente, al sindaco di Roma Rutelli. La gente va all'Opera per ricordare Rabin ma anche per vederla, presentata al pubblico in un'aura di desiderio di redenzione che lei è capace di trasformare in commozione e in politica. Due discorsi aveva preparato Leah Rabin per la commemorazione: uno più aggressivo, più duro verso la destra israeliana; l'altro, che pur non risparmiando che ha ucciso il marito, e collocandolo nell'ambito di quella destra estrema che la signora Rabin vuole condannare per sempre alla sconfitta, è però più ecumenico, più proiettato verso la promessa di pace che Rabin ha fatto al mondo. L'Italia del resto, è già piena delle ragioni della pace, totalmente conquistata alla causa di Leah Rabin: non c'è bisogno d'insistere. Del resto, quando l'ambasciatore Millo telefonò un paio di settimane fa a Scalfaro e poi a Rutelli per chiedere se erano d'accordo nel preparare in Italia la commemorazione con la signora Rabin, che costava un grande sforzo organizzativo (sicurezza, inviti, orchestra) trovò un sì gridato. Il giornalista Corrado Augias, deputato europeo del pds, invitato a presentare la serata ha chiesto al suo capogruppo a Bruxelles di venire a Roma in un giorno di delicatissime votazioni. Oren ha accettato di dirigere l'orchestra. E Leah ha guardato da sola l'agenda e ha detto: Sì , l'Italia va bene. Sarà certamente una commemorazione calorosa. Ha chiesto all'ambasciatore di invitare Susanna Agnelli, di cui è amica personale, a colazione. E adesso eccola là di fronte a questo inusitato cardine del consenso costituito dalla Israele pacifista, che parla a una platea di grandi notabili senza neppure un errore politico. È una grande donna. È una grande politica. A Roma, appare come ormai definita in un nuovo ruolo, si vede che stare o non stare a casa, un passo indietro o avanti non ha significato niente, Leah Rabin è un'ambasciatrice d'Israele moderata, e commossa, determinata. Stamattina visiterà il Papa perché voglio spiegargli la situazione nuova, di pace, che si è creata da noi. E perché mio marito lo ammirava molto, era lieto dei nuovi rapporti diplomatici con Israele. Leah di fronte alla folla romana si lascia abbracciare, rapire, percorre fino in fondo questa sua lucida ubriacatura che la salva dalla disperazione e forse riuscirà a preservarla dall'incubo ancora per un po'. Fiamma Nirenstein

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