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GRANDE MEDIO ORIENTE Il contagio sulla regione delle riforme e della democrazia

giovedì 1 luglio 2004 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein Anche se le preoccupazioni sono grandi, pure è una svolta monumentale quella su cui il Medio Oriente si affaccia col passaggio dei poteri e l’ imminente esposizione dei crimini di Saddam Hussein. Il monito a tutte le dittature sarà potente. Intanto, quali che possano essere gli immanacabili attacchi terroristi, vedremo un popolo arabo guidato da una leadership shiita che combatte con le unghie e con i denti per la democrazia. Sarà uno spettacolo di impatto inusitato. L’ area che è la casa degli arabi, dei turchi, dei persiani e degli ebrei sarà ulteriormente rivoluzionata, anche se più lentamente. Tutte le autarchie circostanti lo sanno e pensano come procurarsi un’ autogestione indolore, abbastanza convincente per Usa e parte dell’ Europa, che vedono nella democratizzazione l’ arma migliore per battere la minaccia mondiale del terrorismo: nelle reazioni della Lega Araba, del ministro degli Esteri egiziani Ahmed Maher, dei giordani, nei giornali siriani e libanesi, e persino da parte del governo iraniano, non c’ è chi non saluti con rispetto gli eventi in corso e Iyad Allawi. La guerra comunque ha aperto un capitolo nuovissimo: riforme e democrazia sono un capitolo su cui nessuno osa più far finta di nulla. Yemen, Egitto, Giordania, Qatar, tutti hanno tenuto quest’ anno conferenze sulla democratizzazione, si sono avute timide riforme, la Lega Araba dibatte il tema, mentre G8, Nato, Onu, tutti affrontano questa questione mai enunciata prima. L’ Egitto ha anche iniziato un lavoro di mallevadoria fra Israele e palestinesi in cui si può scommetere che altri vorranno essere coinvolti. Gli ajatollah e i siriani in particolare sono molto preoccupati, e ne danno segno. Certo, il terrorismo interno e internazionale ce la metterà tutta per bloccare la grande locomotiva che ancora sbuffa in stazione, per mantenere in sella i dittatori. I tempi sono duri, ma l’ idea che la pace ci sarà solo se il terrorismo perde la sua origine totalitaria per ora è la strategia dominante, anzi, unica. Lo si è visto a Ankara nei discorsi di Blair e di Bush.

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